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«A mamma Rai servono emozioni e passioni non geni commerciali»

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Èsuccesso a Massimo Giletti, più di vent'anni di carriera ininterrotta, da inviato speciale di "Mixer" a conduttore di punta delle rete ammiraglia, che ha proposto nel maggio dello scorso anno un format a Radio Uno da ambientare in carcere senza mai ricevere una risposta. Fedele all'azienda che gli ha dato la notorietà e il successo, Giletti si interroga sulle ragioni di questo silenzio e medita la possibilità di esportare nel privato un'idea nata proprio per il servizio pubblico. Quale programma aveva immaginato? «Insieme a Klaus Davi avevamo concepito la possibilità di parlare di quella realtà che rimane dietro le sbarre con un appuntamento dal titolo molto forte che preferisco non rivelare, altrimenti me lo rubano. La radio avrebbe potuto raccontare il mondo delle carceri, portando ogni settimana un numero uno della politica a confronto con un personaggio dello spettacolo o dello sport, intrecciando figure famose e musica a un dibattito su diversi temi che coinvolgesse anche i detenuti e gli agenti penitenziari. Ho consegnato il progetto al direttore di Radio Uno Preziosi perché mi sembrava in linea con il servizio pubblico e aveva costi praticamente nulli». Come era stata accolta l'iniziativa? «Avevamo ottenuto un attestato di stima e condivisione da Donato Capece, Capo del Sindacato della Polizia Penitenziaria, ma anche l'appoggio del consigliere Rai Antonio Verro». Cosa è accaduto da quando ha sollevato pubblicamente il problema? «Il Dg Lorenza Lei mi ha subito chiamato. So che ha una grande sensibilità per il tema carcerario e se ne era anche occupata in passato. Probabilmente sul suo tavolo non è mai arrivato nulla. C'è stata una reazione di sostegno trasversale da parte di diversi esponenti della politica. Nessuno è obbligato ad aderire a un'iniziativa e capisco la difficoltà di compiere scelte coraggiose, ma sarebbe giusto avere una risposta». Che interpretazione dà di questo silenzio? «Offre il destro a ogni ipotesi. Si può pensare al timore di far conoscere un universo che non ci appartiene oppure a un rifiuto che non si vuole comunicare direttamente a me perché sono un personaggio in vista. Comunque posso scegliere radio esterne che ora hanno palesato il loro interesse e hanno chiesto di approfondire il progetto. Potrebbe anche essere stimolante per me un'esperienza al di fuori della Rai». Cambia opinione sull'azienda dopo questi comportamenti? «Amo la Rai, ma è fatta di tante persone. Dal 1991, data del mio primo contratto con Minoli, ho fatto strada. Sono molto contento del rapporto che ho con Mazza: stiamo lavorando bene anche grazie all'apporto del capostruttura Toaff. Ho raggiunto i cinque milioni di spettatori, cifre da eventi serali». Crede nel servizio pubblico? «In questi ultimi anni la Rai ha seguito Mediaset al ribasso. Ha prevalso l'anima commerciale. Auspico che si riesca a dare uno strappo in favore dell'emozione. A "Domenica in" c'erano le Lecciso e poi abbiamo dimostrato di fare più audience con l'attualità». Ha desideri speciali per il suo avvenire? «Mi auguro di mantenere la passione che ho dentro. La sera del sabato la passo al montaggio come faceva Minoli che mi ha formato da ragazzo. Voglio provare sempre la stessa emozione forte quando si accende la luce rossa della telecamera. Mi sento un'isola felice e inattaccabile: non mi faranno passare l'amore per il mio lavoro».

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