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Gianfranceschi, l'anticonformista

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Con lui se ne va un intellettuale di grande rigore morale che ha sempre denunciato il «sistema della menzogna»

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Ealla fine, consapevole che il momento del fatale abbraccio era arrivato, l'ha guardata negli occhi, ed ha intrapreso il cammino della vita senza tempo. Ad accompagnarlo nel viaggio ha trovato Gianni, perduto tanto tempo fa, e Federica, sorridente serena e splendida, che, guarda caso, proprio in una domenica di febbraio di cinque anni fa se n'era andata. Dolori indescrivibili. Ai funerali della figlia Fausto, abbracciandomi, mi disse: "È troppo. Adesso è troppo". Non era abbastanza. Il suo corpo, per l'ennesima volta, sarebbe stato profanato dal male contro il quale pure aveva combattuto e vinto in altre occasioni. Il suo rigore spirituale e morale, il suo stile di vita, la sua coerenza intellettuale resteranno come pietre che il tempo non scalfirà a testimonianza che un uomo può, se lo vuole e ne è capace, restare in piedi tra le rovine, sfidando mode effimere e idee caduche, asseverando con i comportamenti che assume la perennità di una concezione del mondo e della vita informata alla sacralità dei valori indisponibili ed alla virtù del coraggio nel difenderli senza cedere alle lusinghe del compromesso. Un'etica della responsabilità, dunque, che Gianfranceschi ha trasmesso, come scrittore, giornalista, polemista, animatore culturale, a tutti coloro che cercavano altri orizzonti sui quali appuntare gli sguardi, alla ricerca di un universo popolato da idee e figure che stridevano con il conformismo dominante. Insomma, l'alternativa all'arida modernità, con le sue appendici della secolarizzazione, del relativismo culturale, del materialismo pratico. Su questo terreno ho incontrato Gianfranceschi quando avevo poco più di vent'anni. E l'ho riconosciuto come un giovane "maestro", mentre già mi cibavo di De Maistre e di Schimitt, di Donoso Cortés e di Julius Evola, di Nietzsche e di Spengler. La rivista che dirigeva, "Intervento", agli inizi dei Settanta, allineava il meglio della cultura non progressista occidentale. La leggevo con avidità e vi scoprivo ciò che soltanto immaginavo non potesse o dovesse restare chiuso nei musei delle idee. E ritrovavo poi tutti i giorni sulla terza pagina de "Il Tempo" che lui confezionava con intelligenza e raffinatezza, le firme "rifiutate" dai giornali che riproducevano massicciamente gli stereotipi di quel "sistema della menzogna", il cui fine era la "degradazione del piacere" a cui Fausto avrebbe dedicato uno dei suoi libri più profondi e "militanti". Lo presentai a Livorno quel libro nell'aprile del 1977. Ritrovo nel mio diario la commozione giovanile per la riuscita della manifestazione. Ed i ringraziamenti di Fausto che, imbarazzato mi presi, senza dimenticare di ringraziare lui per l'onore che mi aveva fatto chiedendomi di parlare al suo fianco. È andata così per tanti anni. Passando di libro in libro, di commozione in commozione. Soffermandomi, in particolare, su "L'amore paterno" e "Svelare la morte": prodotti di un'anima capace di dialogare con l'Eterno senza dimenticare le radici piantate nella terra. Ed i romanzi, i saggi, i pamphlet hanno tutti lo stesso accento: la spiritualità quale ricchezza infinita da preservare affinché il cammino nel mondo abbia un senso. Ne fece un breviario, Fausto, di questo assunto con "Elogio della nostalgia", un grande libro che, al modo di Cioran e di Gomez Davila, con aforismi fulminanti, offre al lettore un percorso nella Tradizione e tra le pieghe oscure della Modernità. Ieri mi è capitato di riprenderlo quel libro per avvicinarmi al mio amico che non avevo fatto in tempo a salutare. Leggendo la dedica, mi sono ricordato di averlo presentato nel 2002 quando Fausto stava per essere nuovamente aggredito da un'altra malattia, dopo essere uscito dall'altra che lo aveva fatto soffrire terribilmente. Ho trovato queste righe: "Il corpo che invecchia è in lotta con lo spirito: tenta di trascinarlo nella sua rovina. Qui si combatte l'ultima battaglia, e il mio spirito non vuole perderla". Di una cosa sono certo: non l'hai persa Fausto quella battaglia. Come non l'ha persa Federica che insieme con te leggeva l'Ecclesiaste e poi ballava il tango e allevava i figli e raccontava agli amici la soave leggerezza della sua vita, anche quando si riempiva di ombre, portando nei cuori degli altri quella serenità che tu le avevi ispirato. Federica, il tuo capolavoro, alla quale dedicasti il tuo primo romanzo, che adesso riabbraccerai...

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