Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Quell'epoca d'oro in cui le poetesse facevano politica

default_image

  • a
  • a
  • a

Unafemminista, ma chiamarla così sarebbe come definire Leonardo da Vinci un pittore. La bella Joyce (ed era bella davvero) è stata questo e molto di più. Poetessa, traduttrice, insomma intellettuale, e «donna politica». La politica che la permeava era di quella «bella», pura, come oggi non se ne sente più parlare. Joyce Lussu faceva politica in un'epoca in cui non solo con la politica non ci si arricchiva e non si prendevano vitalizi. Ma si rischiava la pelle. Joyce Lussu, una donna che riusciva a mettere passione, ironia e poesia in tutto quello che faceva, lanciò il primo vagito nella Firenze dell'8 maggio 1912. Una città che doveva essere ancor più bella di oggi, senza complanari e cavalcavia, che andare a Fiesole era quasi un'impresa. I genitori erano marchigiani (e da questo si capisce l'amore per la buona cucina), ma il «profumo di famiglia» ricordava il nord Europa, aveva infatti ascendenze inglesi. Firenze le andrà subito stretta. In realtà il mondo intero sembrò, nella sua bella, lunga e feconda vita non bastarle mai, tanto che la troveremo sempre «in partenza», pronta a lanciarsi in nuove battaglie, dopo averne vinte tante. Insieme al fratello, nell'Italia tutta in camicia nera, ai tempi si chiamava ancora Salvadori, entrò a far parte del movimento «Giustizia e Libertà». Ma presto, almeno nel suo nome-e-cognome mise ordine incontrando, nel 1938, Emilio Lussu. L'intellettuale, che aveva venti anni e oltre più di lei, è stato politico, scrittore e militare, uomo di battaglie e di principi. Abbracciò ideologie (fascismo compreso) senza tradirle e si trovò antifascista quando tutti giravano in orbace. Lussu fu discepolo del socialismo libertario, sardo, (era nato nella regione del Sarrabus-Gerrei, non lontano da Cagliari), indipendentista e federalista, come quasi tutti quelli della sua terra era uomo dall'etica inflessibile e con la testa più dura delle pietre dei nuraghi. Ben si trovò con la bella Joyce: insieme condivisero la clandestinità antifascista. Ma i tempi (per fortuna) erano destinati a cambiare: Joyce visse da protagonista i primi passi della Repubblica Italiana; fu promotrice dell'Unione Donne Italiane, militò per qualche tempo nel Partito Socialista e, nel 1948, in quell'Italia nella quale gli antifascisti (veri) si contavano sulla punta delle dita, entrò nella direzione nazionale del partito. Quella raccontata in «Portrait» è la storia di una donna vitale, intelligente, coraggiosa che, raccontando se stessa, svela pensieri e passioni, denunciando, con semplicità e immediatezza spesso disarmanti, verità enormi e problemi di tutti i giorni, sia politici che umani. Meraviglioso il suo rapporto con il cibo e la politica: due cose che andavano a braccetto quando, in qualche osteria, ci si trovava a mangiare pane e lardo e a bere vino, discutendo su come riorganizzare un Paese in ginocchio. Con questo libro si inaugura «Omero», prima collana di narrativa, dal nome appena appena impegnativo, della casa editrice L'asino d'oro, curata da Maria Gazzetti, intellettuale per anni al vertice della Casa delle Letterature di Francoforte. Con la prefazione di Giulia Ingrao «Portrait» svela la grandezza della Lussu che, da vera donna di cultura, rendeva tutto semplice: la vita, la politica, i rapporto uomo-donna, quelli genitori-figli.

Dai blog