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Fosse Ardeatine, la strage dimenticata

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Secondo il rotocalco negli anni Cinquanta i politici italiani preferirono non dare la caccia fino in fondo a tutti i responsabili

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Perdentii tedeschi che seguirono Hitler nella tragedia della Seconda Guerra mondiale, perdenti gli italiani che troppo tardi capirono la follia di quell'alleanza. E ci furono quelli che persero la vita: 355 civili e militari italiani innocenti giustiziati con un colpo alla nuca. Un crimine orrendo attorno al quale recenti ricerche in Germania sembrano far emergere nuovi particolari. Il settimanale tedesco Der Spiegel ha appena pubblicato le conclusioni dello storico berlinese Felix Bohr basate su documenti rinvenuti nell'archivio del Ministero degli Esteri tedesco. I documenti individuati da Bohr rivelano il contenuto di un colloquio che l'ambasciatore tedesco Manfred Klaiber ebbe nell'ottobre 1958 con il capo della Procura Militare di Roma, colonnello Massimo Tringali. Klaiber scrisse a Bonn come «nel colloquio con il colonnello Tringali» era stato «espresso che da parte italiana non c'è alcun interesse a portare di nuovo all'attenzione dell'opinione pubblica l'intero problema della fucilazione degli ostaggi in Italia, in particolare di quelli alle Fosse Ardeatine». Tringali precisava che ciò «non era auspicato per motivi generali di politica interna». Per questo il colonnello «esprimeva l'auspicio che dopo un doveroso ed accurato esame le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura Militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciare il loro luogo di residenza, oppure che le persone non erano identificabili a causa di inesattezze riguardo alla loro identità». Il colonnello italiano avrebbe aggiunto che, nel caso in cui le autorità tedesche fossero arrivate dopo un'inchiesta alla conclusione che tutti o parte dei responsabili dell'eccidio vivevano in Germania, «la Bundesrepublik era libera di richiamarsi all'accordo italo-tedesco di estradizione e di spiegare che le informazioni richieste non potevano essere fornite, in quanto la Bundesrepublik in base ai suoi regolamenti non estrada i propri cittadini». Lo storico ha rinvenuto uno scambio di lettere avvenuto tra l'ambasciata tedesca a Roma e il ministero tedesco nel 1959. Analizzando questo materiale secondo Bohr emergerebbe che diplomatici italiani e tedeschi lavorarono insieme per evitare che i complici di Herbert Kappler, comandante delle SS e primo tra i responsabili dell'eccidio, venissero portati davanti ad un tribunale italiano. Il consigliere dell'ambasciata tedesca a Roma in quell'epoca, Kurt von Tannstein, iscritto al partito nazista dal 1933, scriveva che l'obiettivo «auspicato da parte tedesca e italiana» era di «addormentare» le indagini sulla strage del marzo 1944. Per il settimanale di Amburgo «l'iniziativa partì dal governo italiano» perché i dirigenti democristiani non avevano interesse a chiedere l'estradizione dei responsabili dell'eccidio residenti in Germania. Un diplomatico italiano di rango elevato spiegò infatti che «il giorno in cui il primo criminale tedesco verrà estradato, ci sarà un'ondata di proteste in altri Paesi che a quel punto chiederanno l'estradizione dei criminali italiani». I politici italiani di allora, secondo lo storico, non volevano compromettere i buoni rapporti con la Germania di Konrad Adenauer, saldamente nella Nato. C'era inoltre l'obiettivo di non offrire vantaggi al Partito comunista italiano, allora molto critico con la Dc. L'ambasciatore tedesco Klaiber, iscritto al partito nazista dal 1934 ed entrato sotto Hitler nel Ministero degli Esteri del Terzo Reich, aveva aggiunto una nota personale in cui appoggiava la «ragionevole richiesta» italiana, a cui bisognava fornire una «risposta assolutamente negativa». Il risultato fu che nel gennaio 1960 da Bonn arrivò all'ambasciata tedesca di Roma la risposta che nel caso della maggior parte dei ricercati «non è possibile al momento rintracciare il luogo di residenza», esprimendo anche il dubbio che «essi siano ancora in vita». Un addetto dell'ambasciata annotò» che «ciò corrisponde al risultato atteso». Le ricerche dello storico berlinese hanno invece accertato che uno dei criminali di guerra ricercati, Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine, lavorava presso i servizi segreti tedeschi. Egualmente per altri ricercati si sapeva bene dove fossero con la conseguente possibilità di poterli arrestare. Il risultato finale di tutta la vicenda fu che il procedimento per gli altri responsabili dell'eccidio alle Fosse Ardeatine in Italia, oltre a Kappler e al capitano Erich Priebke, venne archiviato nel febbraio 1962.

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