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Obey, la nuova arte si fa sui muri

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Shepard Fairey ha incassato il grazie del presidente Obama Nell'immagine colorata del suo volto il segreto dell'elezione

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Perdare risposta a questa domanda (negli anni passati, chissà, qualcuno se la sarà fatta anche per Giotto o Caravaggio) è necessario definire il concetto di arte. Per molti l'arte non può che essere espressione del proprio tempo. Insomma un qualcuno è un artista quando nelle sue opere, di qualunque tipo, riesce a far intravedere l'epoca storica nella quale vive. E allora è necessario ricordare una cosa: l'attuale presidente egli Stati Uniti, l'uomo più potente del mondo, secondo i canoni storici classici, immediatamente dopo la sua elezione ha preso carta e penna e si è messo a scrivere. «Caro Shepard, vorrei ringraziarti per aver messo il tuo talento a disposizione della mia campagna elettorale - ha dichiarato nero su bianco Obama - Il messaggio politico dei tuoi lavori ha spinto gli americani a credere nella possibilità di un cambiamento. Le tue immagini hanno un forte impatto sulle persone, che siano ammirate in una galleria d'arte o semplicemente per strada. Mi sento privilegiato per essere diventato oggetto del tuo lavoro, e orgoglioso del supporto che mi hai dato. Ti auguro di continuare ad affrontare con successo la strada della creatività. Sinceramente» e sotto la firma dell'appena eletto presidente degli Stati Uniti. Da notare che mister Obama chiama quelli di Shepard «lavori», e non opere, con un tono doverosamente disinvolto e dimesso, visto che il più famoso di questi rappresenta il suo volto. Ma dal come e quando è stato realizzato lo scritto sembra che Obama si rivolga a Giotto o Caravaggio e che comunque non abbia per il giovane Obey minore considerazione. Insomma c'è poco da fare: quel manifesto con il volto del candidato presidente Obama, meravigliosamente «pasticciato» con chiazze rosse e blu e accompagnato dalla geniale scritta Hope, speranza, ha trasformato Barack da semplice candidato in simbolo del futuro. Quell'immagine ha fatto in quattro e quattr'otto il giro del mondo, diventando un'icona, famosa come l'Uomo vitruviano di Leonardo o la Monroe di Andy Warhol. E non ci dimentichiamo che Obama, in parecchi sondaggi non lontani dal voto, veniva dato in svantaggio. Poi qualcosa l'ha proiettato in alto e a questo qualcosa, a parte le gaffe di Sarah Palin, ha contribuito in modo determinante Shepard Fairey, in arte Obey. Di questo ragazzaccio geniale ci parla con passione e rigore critico una giovane saggista: Sabina De Gregori, con il bel librone: «Shepard Fairey in arte Obey. La vita e le opere del re della poster art», edito da Castelvecchi collana I timoni, 215 coloratissime pagine in grande formato, 24 euro. Obey è nato nella Carolina del Sud nel 1970, in un ambiente (e la De Gregori non manca di farlo notare) decisamente privo di stimoli artistici. Ma questo invece di penalizzare il ragazzo lo ha lasciato spaziare in una concezione folle, anarchica e, infine, libera della creatività. Inizia a far parlare di sé alla fine degli Ottanta, nemmeno ventenne, riempiendo gli «spazi urbani» dimenticati con un viso stilizzato (per la cronaca è quello del wrestler André The Giant), che sovrasta la sua firma: «Obey». Tra pali della luce, muri di cemento, piloni di cavalcavia, la follia creativa di Shepard si è materializzata come un fiore che sboccia. Il giovane è attratto dai temi della propaganda, della comunicazione e del controllo sociale. Diventerà un maestro (ma forse l'ha inventata lui) della «Poster art». Durante il conflitto tra Stati Uniti e Iraq dilaga in campo politico, realizzando una serie di manifesti di stampo pacifista. Sabina De Gregori ha voluto offrirci il ritratto di un artista inevitabilmente in evoluzione e l'ha fatto nel modo migliore: tratteggiandone in modo sintetico la biografia e dando tutto lo spazio possibile alle sue opere. Obey ha il dono della sintesi: «ripesca» stili grafici antichi: la bicromia e la tricromia e li «trasporta» nel Terzo Millennio. Certi suoi lavori sembrano un po' una pagina della Pravda, un po' un quadro di Tamara Lepeska e solo lui sa cos'altro. Ma alla fine lo stile grafico di Fairey è inconfondibile, i suoi temi commentano gli eventi e le tendenze della contemporaneità, riuscendo ad interpretare timori, paure e speranze, soprattutto dei giovani, nell'universo globalizzato.

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