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Giulio Einaudi e il suo simbolo con lo struzzo che non ha mai messo la testa sotto la sabbia

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Ilcentenario è inserito nelle celebrazioni degli anniversari riconosciuti a livello internazionale dall'Unesco. Quel simbolo editoriale, con il famoso struzzo che stringe un chiodo nel becco e sullo sfondo il motto «Spiritus durissima coquit», ovvero una volontà capace di digerire anche i chiodi, sembra proprio coincidere con la storia di Giulio Einaudi e di «quell'armonia dell'insieme» che ha sempre perseguito. Amante del confronto e delle discussioni, Einaudi non era un editore padrone, ma un appassionato sostenitore del lavoro di gruppo come testimoniano le famose riunioni del mercoledì, a cui è dedicato il libro «I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali 1943-1952», a cura di Tommaso Munari, uscito per Einaudi, e i ritiri estivi in montagna con i suoi collaboratori. Vengono ricordati anche gli errori del Comitato che negò due volte la pubblicazione di «Se questo è un uomo» di Primo Levi e ostacolò la divulgazione di Friederich Nietzsche o la soggezione nei confronti del Pci. Emerge l'umoralità di Giulio Einaudi, la sua «megalomania» ma anche il forte legame che aveva con i suoi autori e collaboratori come Natalia Ginzburg. Quando la scrittrice morì, nel 1991, l'editore disse commosso: «La sentivo come una madre, mi proteggeva». Quello che oggi si può dire, come scrive nella prefazione ai verbali Luisa Mangoni, «è che ciò che l'Einaudi fu, continua ad essere un tarlo di cui uomini e organismi culturali, spesso di minor rilievo, non riescono a liberarsi. La domanda sottintesa è sempre la stessa: Perchè? E come?». Con sede nello stesso palazzo dell«Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci, la Giulio Einaudi Editore, nata nel novembre del 1933, ha fra i sostenitori e azionisti Nello Rosselli e fra i più stretti collaboratori Leone Ginzburg, Cesare Pavese, quel gruppo di ex allievi del liceo d'Azeglio di Torino, che Massimo Mila chiamava confraternita e che Giulio Einaudi aveva in un primo tempo riunito attorno alla rivista del padre «La Riforma Sociale». La casa editrice vede anche il contributo di intellettuali come Norberto Bobbio, Giulio Carlo Argan, Elio Vittorini e Italo Calvino e si distingue subito per la cura editoriale e la grafica affidata a maestri come Bruno Munari. Ma presto viene presa di mira dal fascismo e nel 1935 il giovane editore viene arrestato con i suoi collaboratori e mandato al confino. Un anno dopo è già al lavoro e la sua avventura di editore continua per 64 anni, quasi fino alla morte, il 5 aprile del 1999, due anni dopo aver lasciato il lavoro editoriale. La casa editrice, che nel dopoguerra pubblicò i Quaderni e le Lettere dal carcere di Gramsci, visse una crisi negli anni 80 quando venne creato il progetto Einaudi-Gallimard. Ora fa parte di Mondadori. E anche se quella stagione è conclusa, lo spirito del suo fondatore spinge ancora alla riflessione sul valore di quell'«allegra tensione progettuale che allora ci rendeva convinti di poter cambiare il mondo con i buoni libri», come ha raccontato Ernesto Ferrero nel saggio «Rhemes o della felicita».

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