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di Lidia Lombardi Il sussurro della fontana ritma le faccende in piazza.

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Dallalocanda l'ostessa mostra un'oca. Il cielo è azzurro dicembre, invece che di stelle rifulge di angioletti. E il frate panzuto si fa sulla soglia della chiesa, a guardare la scena. Non è sparita la Roma del presepe allestito nel portico della Basilica di Sant'Eustachio. La rappresentazione di cartapesta - tutto materiale riciclato - rifà in miniatura quanto vediamo intorno ora. Appena sporgendoci dal pronao, con severe colonne romane e la cancellata di ferro battuto. È un tuffo nella storia della piazza, illustrato dai cartelli accanto al presepe. Ecco sullo sfondo la più geniale cupola di Roma, il «tortiglione» che quasi buca le nuvole inventato dal Borromini per Sant'Ivo alla Sapienza. E già possiamo trovare la tradizione. La piazza si chiamava anche della Scola perché in uno dei suoi lati c'è l'ingresso posteriore della Sapienza, l'antica università papalina nobilitata nel cortile dalla chiesa borrominiana. Ed Eustachio chi era? Uno dei primi cristiani martirizzati a Roma. Un centurione. Placido il suo vero nome. Abitava dove adesso è la Basilica a lui intitolata. Leggendaria la conversione. Era a caccia sul monti della Mentorella, sopra Tivoli, quando gli si parò di fronte un cervo che tra le corna portava il volto di Cristo. Placido ne fu così scosso da convertirsi decidendo di chiamarsi Eustachio. Una fede che l'imperatore Adriano fece pagare a lui e alla sua famiglia. Li diede in pasto ai leoni, ma le fiere non toccarono i neo battezzati. Allora li chiuse in una forma di bronzo infuocato. Morirono all'istante, ma quando si aprì lo strumento del martirio i corpi furono trovati intatti. Come un vento, la vicenda di Eustachio si diffuse tra le comunità cristiane e la sua casa diventò meta di pellegrinaggio. La chiesa fu fatta e rifatta più volte. E così mostra un'affascinante antologia di stili. Il campanile è uno dei pochi romanici della Capitale. Il portico è ombreggiato da quattro lesene e due colonne ornate con teste di cervo. L'altare, settecentesco, custodisce il corpo di Eustachio, della moglie e dei figli. La piazza e il suo doppio, che è appunto il presepe, sciorinano poi un'altra rarità, esempio di magnificenza rinascimentale. Il palazzetto di Tizio da Spoleto, dignitario al servizio di Alessandro Farnese, che fu battezzato proprio in Sant'Eustachio. Il messere era assai vanitoso e chiese a Federico Zuccari di affrescare la facciata. Restano i disegni colorati nei toni sfumati del grigio-cilestrino e del pompeiano attorno alle finestre leziose contornate da festoni protobarocchi. E rimandano all'eleganza degli altri edifici: il candido palazzo Galeotto del Caccia, il severo Stati Cenci Maccaroni Brazzà. Brulica di artigiani che recano la toponomastica delle viuzze adiacenti, il presepe. Le statuine espongono i bacili di via dei Catinari, le panche di via degli Sediari, le bilance degli Staderari, i vimini dei Cestari, le chiavi dei Chiavari, i carretti a vino arrivati dalle Coppelle. Ora resistono forno e osterie. E inebria l'odore del caffè più buono di Roma.

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