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La Scala per tutti e Don Giovanni pop

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La prima del Don Giovanni di Barenboim alla Scala di Milano

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L'Inno di Mameli, quello suonato ieri alla Scala di Milano, aveva cento significati. Con il presidente Napolitano e il premier Monti - Dioscuri dell'operazione salva-Italia - impettiti nel palco reale, quasi a dire «noi ci siamo, il nostro Paese c'è». Una serata di Sant'Ambrogio così non si vedeva da anni. Facce nuove sullo sparato bianco o sul decolleté. Un ministro dell'Interno donna come Anna Maria Cancellieri, uno dello Sviluppo Economico ben formato sul mondo bancario nonché nel cda della Scala come Corrado Passera. Ancora, uno della Cultura, Lorenzo Ornaghi, arrivato dall'Università Cattolica meneghina. Super-opera per super-serata: il «Don Giovanni» di Mozart, vertice del melodramma. E prototipo dell'ingannatore, del dissoluto che vende l'anima al Diavolo. «Noi non siamo così», s'affretta a precisare il Governatore lombardo Formigoni parlando anche per un altro debuttante tra il pubblico del teatro del Piermarini, il sindaco Pisapia. Il quale ha avuto il bel gesto di mettere in vendita i 110 biglietti a disposizione del Comune (2400 euro per un posto in platea). Il ricavato andrà agli alluvionati liguri e a un progetto per Milano. Contestazioni inevitabili, in piazza, anche se ridotte al minimo dai poliziotti. Un uovo si spiaccica sul fanalino della vettura di Monti, un altro sull'asfalto. Ma vengono da dietro le transenne che fermano i turisti. I contestatori veri, gli indignados Cub, protestano con urli e striscioni srotolati a un passo dal teatro. Il trucco è stato sistemarsi in una limousine bianca e mostrare ai controlli biglietti falsi. Altri in Galleria si fronteggiano con gli agenti. Ma la bella gente, nel foyer, è su di giri. Scollature abissali come quella di petto di lady Passera o di schiena di Valeria Marini. Lusso e vip a iosa, a dispetto dei pensionati fermi a mille euro al mese. Flashes scatenati per Barbara Berlusconi arrivata con l'amore rossonero, il giocatore milanista Pato perfetto in smoking. Le sciure ondeggiano in abiti Armani, come la moglie del capo del Governo. Napolitano in sciarpa bianca e borsalino si tappa schivo le orecchie mentre la gente lo saluta come «Re Giorgio». La stretta di mano con Monti è di calorosa complicità. E insieme all'intervallo del primo atto incontrano, come da copione, i lavoratori della Scala, che ricordano le difficoltà del mondo dello spettacolo. «Opera sempre magnifica», chiosa il Presidente di questo «Don Giovanni» diretto da Daniel Barenboim, anch'egli a una doppia prima volta. Appena una settimana fa, il primo dicembre, ha incassato la nomina a direttore musicale del tempio scaligero. E adesso usa la sua bacchetta per guidare l'orchestra e i cantanti nell'esecuzione del capolavoro del salisburghese. È una prima più pop che mai. La vedono, alla Scala, in Italia e nel mondo, «oltre due milioni di persone», quantifica il sovrintendente francese Stephane Lissner. E infatti Rai5 ha trasmesso lo spettacolo in diretta, poi in differita su Classica oltre che sui canali esteri. Inoltre, il grande schermo. Il «Don Giovanni» è rimbalzato, sempre in diretta, in 120 cinema italiani e 470 nel resto del mondo. Con quindici euro e senza i lustrini di routine chi ama l'opera si è goduto la «prima» in prima fila. Ancora, a Milano la serata è stata trasmessa in altri tre teatri e in carcere, a Bollate e a San Vittore. «Non si può certo dire che la Scala è un teatro riservato all'élite», chiosa Lissner che due giorni fa, per l'anteprima e prova generale, ha aperto le porte ai giovani. Undici minuti di applausi alla fine (ma qualche fischio dal loggione per l'azzardo registico che dà abiti moderni ai personaggi) hanno santificato la prima. E nei palchi, nel foyer, in platea (tra gli altri, c'erano Umberto Eco, i vertici Rai Lorenza Lei e Paolo Garimberti, l'industriale Diana Bracco, il viceministro dell'Economia Grilli) è stato uno scambio di sorrisi e d'intese. Strategie salva-Italia si rincorrevano. Come Don Giovanni appresso alle donne del suo catalogo.

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