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Le centomila facce di una faccia da schiaffi

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Quell'Italiagià un po' ingrassata e impigrita dall'ormai compiuto Boom economico, il sabato sera era abituata al varietà in tv: le gambe delle Kessler, due risate con Dorellik. E invece, con un'azione da Tupamaros, il 19 dicembre del 1964 in prima serata, dopo il telegiornale, arrivò «Il giornalino di Gian Burrasca»: devastanti otto puntate di sceneggiato tratto dall'altrettanto devastante omonimo libro di tal Luigi Bertelli, nome di battaglia Vamba. Scritto nel 1907 fu pubblicato inizialmente a puntate sul «Giornalino della Domenica», poi i racconti furono raccolti nel libro. Protagonista della storia un terribile figlio di buona donna di nove anni: Giannino Stoppani. Uno che ne combina di tutti i colori: la sua prima vittima è la sorella grande, Ada. La tormenta, le fa continui scherzi, la fa anche litigare con il fidanzato (che comunque è un presuntuoso pieno di boria). Poi Giannino, guadagnandosi il nome di Gian Burrasca, allaga la casa, manda a monte feste, fa perfino la pelle ad un canarino. Alla fine i genitori lo manderanno in collegio, dove, sobillando i compagni, organizzerà una sommossa contro gli insegnanti. Anni di buoni insegnamenti ai piccoli italiani con il libro «Cuore» vengono spazzati via in un attimo. Nel bambino non c'è traccia di obbedienza, di mansuetudine, di ravvedimento, di pentimento. È una macchina da guerra e nemmeno tanto gioiosa. Non solo: la regia dello sceneggiato è di una signora votata alla ribellione, tal Lina Wertmüller. Farà parlare ancora di se e, ciliegina sulla torta, per fare la parte del bambino pestifero di nove anni viene scelta una signorina scatenata: Rita Pavone che, ai tempi, ha 19 anni. Così il trionfo del dispetto e della marachella viene condito con una buona dose di ambiguità. Una storia scritta da un uomo con uno pseudonimo che ricorda, vagamente e in modo sgrammaticato, il nome di una regina africana, portata in scena da una regista donna con lo spirito della ribellione e interpretata da un'altra donna travestita da uomo. Ce n'era abbastanza per far tremare i censuratissimi Anni Sessanta. Fu un successo sconvolgente, per otto sabati nessuno sentì la mancanza del Quartetto Cetra e di Gisella Sofio. I bambini si rifiutavano di andare a letto dopo Carosello (più o meno alle nove) e assistevano allo spettacolo scellerato saltando come scimmie su tavole e divani. Quello sceneggiato aveva una canzone, un motivo che divenne l'inno di tutti i bricconi. Si intitola «Viva la pappa al pomodoro» e l'ha scritta uno dei più grandi compositori italiani: Nino Rota. Ed è proprio per ricordare Nino Rota, del quale ricorre domani il centenario della nascita, che La Casa del Cinema di Roma propone la serie completa. Domani alle 11 e poi alle 17 saranno proiettate nella Sala Volonté le prime due puntate, poi, nel successivo fine settimana, le altre fino a domenica 11 dicembre. L'ingresso è gratuito, informazioni allo 060608, oppure www.casadelcinema.it o www.060608.it. Un'iniziativa che ripropone un personaggio che è l'immagine stessa della ribellione. E comunque Gian Burrasca è sempre piaciuto, già l'aveva portato sul grande schermo un altro grande del nostro spettacolo con il vizio della rivoluzione: Sergio Tofano che nell'Italia scossa dalla Guerra del '43 s'era inventato un film per far ridere. E Giannino Stoppani fu chiamato al cinema anche nel 1982, dal regista Pier Francesco Pingitore, che al bambino terribile schiaffò il volto di Alvaro Vitali. Un trionfo di trash, comunque riempì le sale. Colpevole della più recente versione del Gian Burrasca, con l'aggravante della recidiva, è ancora la Wertmüller che, non paga dello scompiglio provocato negli anni Sessanta, ha curato una nuova edizione, questa volta teatrale, del libro di Vamba. Per il bambino pestifero ha voluto il volto (e la voce) di Stefano Belisari, alias Elio, quello delle Storie Tese.

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