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Gli scatti che hanno fatto storia

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Vent'anni di storie italiane in 80 immagini-documento Dal massacro del Circeo al rogo assassino di Primavalle

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Ricordocome amore. Il primo è il titolo del libro di Vittorio Morelli (Armando Curcio Editore) dedicato alla vita di grandi passioni fotografiche di Antonio Monteforte attraverso 80 quadri di giornalismo doc. Il secondo è di chi scrive, dietro le quinte della regina della cronaca: la Notizia. E non è un caso che nella foto di copertina del libro - una delle immagini che hanno fatto la storia di uno straordinario esemplare di «animale» dell'obiettivo come Antonio Monteforte - si intraveda, senza volto, un altro prototipo della «nera» di una volta: il cronista. Ecco, nell'intervento che ieri mi è stato concesso di porgere quale contributo alla presentazione del libro, ho chiesto ironicamente scusa ad Antonio per avergli dato le spalle. Ma, fortunatamente, nessuno ha offeso quell'immagine che ha fatto il giro del mondo né tantomeno ne ha violato i contorni di drammatica e cruda verità: il massacro del Circeo. Così in viale Pola il bagagliaio della Fiat 127 si apre lentamente e due grandi occhi prendono forma sotto i flash di quello straordinario fotografo. È lo sguardo terrorizzato di Donatella Colasanti, sopravvissuta ai torturatori assassini. Una storia intensa, ma purtroppo breve, stroncata da un incidente auomobilistico. Dieci anni passati a Il Tempo, gli altri dieci all'Ansa. Dagli aguzzini del Circeo al rogo di Primavalle, l'attentato al treno Italicus, il terremoto dell'Irpinia, l'agguato alla Sinagoga di Roma, la rivolta del carcere di Porto Azzurro, la missione italiana in Somalia, i primi drammatici sbarchi degli albanesi a Bari, l'attentato alla Chiesa di San Giorgio al Velabro. E poi la rivoluzione in Romania, le Olimpiadi di Seoul, i pellegrinaggi del Papa, i Mondiali di calcio. Insomma, una lunga storia di fotografie che non si dimenticano e che fanno parte della memoria collettiva come ha affermato il direttore de Il Tempo Mario Sechi, capace di restituire alla figura del fotografo un ruolo centrale nella dinamica del quotidiano. Sin da quando fu capocronista nella redazione milanese de Il Giornale. Nella sede dell'Università degli Studi eCampus di via del Tritone, Sergio Lepri, direttore dell'Ansa per circa trent'anni, ha ricordato: «Ho il merito di averlo assunto e sono qui per testimoniare la mia stima e il rispetto per Antonio Monteforte, per quelle immagini che a volte raccontano una storia meglio di mille parole». E Luigi Contu, attuale direttore dell'agenzia di via della Datarìa, lo ricorda nella prefazione del libro, così come fatto da Sechi che ha aggiunto: «La tecnologia ha cambiato il mestiere di fotoreporter, ma il buon fotografo resta sempre quello che coglie l'attimo». Il libro-testamento, scrigno di notizie a forma di immagine in rigoroso bianco e nero, è stato voluto fortemente dal figlio, Filippo, prima fotografo dell'Ansa e oggi apprezzato fotoreporter dell'agenzia France Presse. Con lui hanno condiviso questo tributo all'immagine la sorella Jenny e la prima moglie Carol. Insieme con la sua seconda compagna di vita Carol e l'adorata Ginevra, 21 anni. Ne aveva appena 3 quando un semaforo «assassino» all'incrocio tra la Cristoforo Colombo e Casalpalocco rubò la vita al suo papà. «Baffetto» - come lo chiamavano gli amici - fu sempre lì dove bisognava essere: qualsiasi frammento di vita, anche di ordinarietà quotidiana, meritasse di essere raccontato, è rimasto «imprigionato» nell'obiettivo di Monteforte. Se vuoi ottenere un'immagine che abbia senso devi scattare al momento giusto. E se vuoi scattare al momento giusto «devi essere sul posto». È nel segno di questo comandamento non scritto che si è dipanata la carriera di Antonio Monteforte, capace di mettere personalità, cervello e cuore al servizio di una professione impastata di passione e di talento. Il titolo scelto da Vittorio Morelli, colonna dell'Agenzia Italia, «Amore come sangue», è stato preso in prestito dalla scritta anonima incisa su un muro: oggi suona come manifesto di una generazione di artigiani-artisti del mirino che trascinano l'osservatore nelle cupe atmosfere della cronaca nera. E per chi, come noi, è abituato alla perfezione senz'anima del digitale e all'aiuto artificiale dei software di ritocco, il bianco e nero di pellicole che prendevano vita nel tempio laico della camera oscura pare quasi un dono fuori dal tempo. Monteforte alternò la sua attività professionale all'impegno sindacale per il riconoscimento dello status di giornalista ai fotoreporter. Missione compiuta. Sempre pronto a imparare dai colleghi più anziani e sempre prodigo di consigli per i più giovani, è stato «il testimone di un'epoca - scrive Morelli - un fotografo coraggioso che con il suo stile del tutto personale sfidò e infranse i dogmi polverosi della convenzione. Fino a spingersi più lontano, oltre il proprio obiettivo».

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