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Tutte le donne di Sgarbi

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Il prof ferrarese insegue l'eterno femminino E trova nell'arte il catalogo più entusiasmante

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Leamiche sono quelle di Vittorio Sgarbi, il più eccentrico e appassionato storico dell'arte italiano. E lui pare trattarle col solito cliché maschilista nell'incipit di capitolo del suo nuovo libro, «Piene di grazia». Invece è il contrario. Perché «le amiche» - Aida, Maria Teresa, Ughetta, Velia - sono presenze di sempre nella sua casa di campagna a Rho (altre, tante, abitano la dannunziana dimora di Sgarbi a Roma, al piano nobile di Palazzo Massimo alle Colonne). Non donne in carne e ossa, ma opere d'arte, sculture. Epperò il modo familiare con il quale il bel Vittorio le tratta la dicono lunga del discorso amoroso - per usare Roland Barthes - che egli intrattiene con l'arte, e con il bello. Il quale nella maggior parte dei casi coincide con la donna. Per questo l'ennesima fatica del critico-polemista mentre insegue il volto femminile così come lo hanno creato pittori e scultori diventa tout court una storia dell'arte: «La donna è il tema più discusso, più affrontato, più considerato e desiderato fra tutte le manifestazioni letterarie e artistiche dell'uomo», spiega. Insomma, ciao maschio, senza lei. Che intriga, ispira, eleva al di là della sua corporeità: «Dalla donna escono mistero e seduzione che rendono la figura femminile anche immateriale». Prendiamo Eva. Sgarbi raffronta quella «fotografata» da Van Eyck in un polittico del 1432 e quella disperata che Masaccio dipinge qualche anno dopo a Firenze. Nel fiammingo la donna, pancia gonfia e seni tesi, serve a fare esperienza della Natura. Nel toscano aiuta ad immergersi nella Storia, con quel gesto drammatico di coprirsi le mammelle e il pube, con gli occhi resi fessure nere. E un canto all'immanenza, alla quotidianità è la «Madonna del parto» di Piero della Francesca. «Un'amica rassicurante, regale e popolare insieme; non una Santa e neppure la madre di Dio», interpreta Sgarbi e indugia su quella umanissima incinta «che ha bisogno che l'abito si allenti, per respirare meglio» e porta una mano sul fianco, l'altra sulla curva della pancia. L'adesione del critico all'affresco giustifica anche un'osservazione polemica. Non piacerebbe a Piero della Francesca l'attuale collocazione - una teca installata in una ex scuola media di Monterchi - della sua opera più sensibile e personale, realizzata per una piccola cappella del cimitero. Ma Tonino Guerra ha vendicato l'artista quattrocentesco trovadogli una sistemazione ideale, seppure nel film di Valerio Zurlini «La prima notte di quiete»: una chiesetta del primo Rinascimento, a Pennabilli, nel cuore della Romagna e del Bel Paese schietto e nobile insieme. Altre Madonne sono piuttosto donne che nascondono un segreto. Lo è l'Annunciata di Antonello da Messina come la Dama con l'ermellino di Leonardo. Non fissano lo spettatore. La prima volge lo sguardo dentro di sé, perché l'Angelo che non appare è il Bambino già sentito in grembo; l'altra fuori del quadro, al suo uomo e signore Ludovico il Moro. Sgarbi sa che l'universo femminile è paradigma di sacro e profano. E dedica la metà del libro a quella che chiama la «desacralizzazione della donna». Comincia Picasso con il rivoluzionario «Les Demoiselles d'Avignon». Continuano Klimt, Khnopff, Balthus. Figure demoniache, inquietanti e maligne, le loro. «Sotto le spoglie di un'assoluta bellezza». Dove l'aggettivo giustifica la centralità della donna nell'intelletto maschile.

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