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Il cuore del Novecento letterario nelle parole di Leone Piccioni

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Nonfu difficile impararla a memoria. Pochi versi, scarni e intensi, raccontavano l'esperienza di un uomo e di un'intera generazione. Autore: Giuseppe Ungaretti. Titolo: «Soldati». Testo: «Si sta come/ d'autunno/ sugli alberi/ le foglie». Brevi note di diario. La Prima Guerra Mondiale, la «sua» guerra, vissuta accanto a tanti compagni. Insieme, nell'attesa. La trincea, l'assalto, la morte. Intensità e precarietà. Come le foglie d'autunno. Avevamo scoperto un poeta che dava emozioni profonde con le parole di tutti i giorni. Leone Piccioni ha avuto Ungaretti tra i suoi maestri. È stato suo amico. Da critico, ha saputo «leggere» come nessun altro la sua poesia, di essa cogliendo tutte le cifre che qui richiama: la tensione al rinnovamento e il richiamo della tradizione, i legami ancestrali e lo slancio umanitario, la passione e la compassione, il mistero dell'origine, della fine e del fine, il dolore e l'urgenza di Dio, e tutti i segreti dei mille «viaggi» e dei mille «ritorni». Ma in questi due libri di ricognizioni nel cuore del Novecento letterario, da Gadda a Landolfi, da Pavese a Flaiano, da Caproni a Moravia ecc. («Vecchie carte e nuove schede. 1950-2010», a cura di Alfiero Petreni, Nicomp Saggi, pp. 224, euro 16; «Memoriette», Pananti, pp. 42, s.i.p.) c'è anche un «altro» Ungaretti, a noi particolarmente caro. Da quando, tanti anni fa, sulle pagine del «Tempo» (quello illustrato, però), l'autore dell'«Allegria», intervistato da Enrico Roda, a un certo punto confessò candidamente: «Mi piace Mina, mi dà la carica». E a noi piacque quel grande poeta a cui piaceva Mina. Ecco, nelle pagine di Piccioni, ritroviamo anche l'Ungaretti curioso della «quotidianità», il toscanaccio di Alessandria d'Egitto a cui piacevano le donne, la buona tavola, le risate in compagnia. Anche le battute «cattive». Come quelle all'indirizzo di Montale: «Non lo leggo, sennò mi sciupo». A sua volta, il «borghese» Eugenio ricambiava con astio e acidità. Al punto che, quando gli portarono la notizia che Ungaretti era morto, colpito da un attacco cardiaco, commentò: «Ho sempre saputo che è un poeta molto pletorico». Forse invidiava la «traboccante vitalità» dell'uomo, mentre - si legga la sua testimonianza riportata in «Vecchie carte...» - non è che fosse prodigo di elogi per il poeta. Perché il Poeta era lui. Mario Bernardi Guardi

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