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di Carlo Antini Senza scomodare filosofie orientali o improbabili echi di mal sopiti classicismi, il dominio delle passioni è sempre stato una delle chimere dell'animo umano.

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Com'èpossibile che negli Stati Uniti e nell'Occidente industrializzato metà della popolazione muoia perché mangia troppo, fuma troppo, beve troppo, è troppo sedentaria e cede a tante altre pulsioni, che pure riconosce come molto nocive? La risposta è semplice: controllarsi costa fatica, in particolare in un'epoca come quella attuale, quando possiamo avere, basta che lo vogliamo, più calorie, più sesso, più droghe, più distrazioni, più di tutto. Siamo a dieta, ma a ogni angolo c'è una macchinetta che distribuisce snack. Accendiamo il computer per lavorare, e dallo schermo occhieggiano le sirene che popolano il mare di Internet. E il gioco d'azzardo, solo ieri proibito quasi ovunque, è ormai una pratica diffusa, soprattutto online. Intanto, mentre le tentazioni si moltiplicano, mettendo a dura prova la nostra capacità di resistenza, l'allentarsi dei vincoli sociali (tradizione, famiglia, Chiesa e ideologia) spinge gli individui a sentirsi «liberi» di assecondare i propri appetiti, con risultati spesso catastrofici. Sulla base del principio strategico secondo cui per sconfiggere il nemico occorre conoscerlo, Daniel Akst traccia una vivacissima mappa delle infinite vie del desiderio, analizzando con tono brillante e irriverente gli eccessi ai quali troppo spesso ci abbandoniamo e le mille scuse che riusciamo a inventare per assolverci dalle trasgressioni. Lo stesso Sigmund Freud, considerato il padre dell'autocontrollo, non riuscì mai a rinunciare ai suoi amati sigari. Facendo appello alla storia, alla filosofia, alla psicologia e all'economia, ma anche alla letteratura, al cinema e al teatro, Akst non si limita a descrivere le conseguenze, invariabilmente negative, dell'incapacità di darsi una disciplina, ma prova a fornirci gli strumenti necessari ad «allenare» e potenziare, proprio come fosse un muscolo, la nostra volontà. Quanto sia importante spezzare il tremendo circolo vizioso che, illudendoci di godere di un'assoluta libertà, ci rende sempre più schiavi delle nostre debolezze è dimostrato dal fatto che in gioco non ci sono soltanto la salute fisica e il benessere materiale, ma il concetto stesso di umanità: dopotutto, a rendere l'uomo un animale «speciale» è proprio la facoltà di tenere a freno gli istinti con la forza della ragione. L'autore Daniel Akst ha collaborato con il «New York Times», il «Wall Street Journal» e il «Los Angeles Times». Fra i suoi libri si ricordano «Wonder Boy», la cronaca della straordinaria frode fiscale che egli stesso ha contribuito a smascherare, e i romanzi «St. Burl's Obituary» e «The Webster Chronicle». Ed è lo stesso autore il primo a fare autocritica. «Persino uno come me ha problemi di autocontrollo - scrive Akst - Voi non avete idea di quanto mi ci sia voluto per sedermi al computer a scrivere. Prima naturalmente ho dovuto esplorare tutta la sterminata discografia del pianista Paul Bley su Internet, quella dannata scardinatrice di tutte le nostre migliori intenzioni. Nel frattempo mi è venuta fame e sono uscito a mangiare, poi mi ci è voluta una piccola siesta. Ho trovato anche il tempo di arricchire il mio già nutrito archivio di mail, inviando messaggi di impareggiabile sottigliezza e ironia a corrispondenti di tutto il mondo. Sì, perché anche per me, come per quasi tutti gli scrittori odierni, la posta elettronica è senza dubbio la forma espressiva più prolifica. Poi ho fatto il bucato, sono andato in palestra e ho preso le misure per alcune riparazioni in casa che rimandavo da tempo, e che non ho ancora fatto. Ho persino dato un'occhiata a techbargains.com per vedere se riuscivo ad acchiappare qualche grande affare tecnologico, la cui natura non ho ancora ben chiara». Tra Epicuro e il Tibet, sembrano allora prevalere le provocazioni di Oscar Wilde che non si nasconde dietro a un dito quando ammette: «Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni».

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