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di Lidia Lombardi Non ci venite a dire che «I tre moschettieri» è un libro per ragazzi.

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«Lestrois mousquetaires», il romanzo d'appendice firmato da Alexandre Dumas padre, è uno squarcio su come va il mondo, una sorta di libro sul quale formarsi (e meditare) quanto il «Pinocchio» di Collodi, non a caso ripubblicato in elegante e seria edizione nella Biblioteca dell'Utopia, la collana del bibliofilo Marcello Dell'Utri. Ma poi ce ne sono a bizzeffe di storie serie spacciate per ragazzi. «Moby Dick» scava negli abissi dell'animo quanto «Cuore di tenebra» di Conrad. E perfino le favole di Esopo sbozzano caratteri che poi la letteratura colta di tutti i tempi replicherà, insieme con i classici del teatro. C'è di più. «I tre moschettieri», pubblicato a puntate, a partire dal 1844, sul giornale Le Siècle, formalizza un genere letterario - il feuilleton o romanzo d'appendice - con centinaia di fortunati replicanti. E dipinge un'epoca, fatti realmente accaduti nella Francia di Luigi XIV e del cardinale Richelieu. Athos, Porthos ed Aramis insieme con il prode D'Artagnan sono degli archetipi, dei simboli di caratteri umani, di indoli eterne. Il primo è l'eroe romantico, il secondo la forza bruta, D'Artagnan la spavalderia impertinente, Milady la malizia, Richelieu l'intrigo e l'ambizione. Propp, il padre dello strutturalismo, nel celeberrimo «La morfologia della fiaba» individua i percorsi intellettuali dei cosiddetti racconti per bambini. Protagonista, antagonista, allontanamento dell'eroe, divieto, tranello, delazione. Hanno da imparare i narratori per adulti.

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