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Paolo Sorrentino «Penn, una rockstar in cerca del padre»

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Giàin concorso al festival di Cannes, la pellicola uscirà in 300 sale il 14 ottobre e, dopo il recente accordo con il produttore-distributore Weinstein, avrà un'uscita americana a dicembre per rispettare i termini della candidatura agli Oscar. Il film, italiano come regista e sceneggiatori (Sorrentino e Umberto Contarello), direttore della fotografi (Luca Bigazzi), scenografia (Stefania Cella) e produttori(Giuliano, Cima, Occhipinti e Medusa), ma con un cast internazionale (oltre a Penn, Frances McDormand, Eve Hewson e David Byrne) potrà così concorrere a tutte le nomination. Sorrentino, come è nata la scelta di un look tanto trasgressivo per un divo come Penn? «Il look si ispira a quello di Robert Smith, leader dei Cure. Il protagonista è Cheyenne, ebreo cinquantenne che ricalca la scena musicale post punk. È una rockstar annoiata in un sobborgo di Dublino che sembra trascinare il suo trolley, un'invenzione peraltro straordinaria, in cerca del criminale nazista, aguzzino di suo padre. Penn si è impadronito del personaggio, mettendo in risalto il suo lato femminile, è stata sua anche l'idea della voce in falsetto e di camminare come "i ricchi" che si sentono in colpa di essere diventati diventati tali, secondo la sua stessa definizione». Oltre alla decadenza di una rockstar c'è anche il tema dell'Olocausto e del rapporto padre-figlio... «Sì, ma resta sullo sfondo e raccontato con molta umiltà: sarebbe presuntuoso dire che il mio è un film sull'Olocausto. Il mio è solo un piccolissimo contributo a un tema tanto complesso, impossibile da decifrare in maniera univoca, sul quale Wiesenthal ha passato una vita intera per cercare delle spiegazioni che non ha mai trovato. Ma c'è anche l'assenza del rapporto affettivo tra un padre e un figlio e c'è il racconto della musica che ha subito l'influenza di Byrne: a lui, che ha curato la colonna sonora e ha un piccolo cameo, mi sono ispirato per il titolo che è anche quello di una sua canzone. Però, alla fine, sono due i binari, è una trama che si svolge praticamente in due atti». Continuerà a girare film in Usa? «Il mio film è stato venduto in tutto il mondo tranne che in Cina: ciò dimostra che il cinema italiano piace all'estero. La realtà dell'Italia, tra misteri e segreti, è un serbatoio ricco di elementi da raccontare, un panorama attraente per il nostro cinema, destinato a diventare più importante di quanto non sia adesso, quando se lo potrà permettere. Non ora». Come crede reagirà il pubblico italiano? «Io ho reagito molto bene e faccio parte del pubblico».

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