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Il raffinato dramma sentimentale di due amanti

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Delfilm di Arthur Miller, protagonisti strappalacrime Ryan O'Neil e Ali McGraw, Gus Van Sant riprende solo lo schema celebre - lei deve morire, lui l'ama comunque - pur concedendo ovviamente momenti al pianto, li rende lievi con un tocco a volte perfino troppo estraneo al dolore, privilegiando una grazia e una finezza che finiscono per prevalere su tutto. Siamo a Portland nell'Oregon. Lei, Annabel, sa di avere una malattia mortale, un po' la sfugge, un po' vi si rassegna. Lui, Enoch, è un orfano triste che, nella sua solitudine, ha preso abitudine di scambiare quattro chiacchiere con un giapponese caduto in guerra dove combatteva come pilota d'aviazione. Si conoscono perché Annabel, vedendolo vestito a lutto a un funerale, a differenza di tutti gli altri, capisce che si è imbucato, secondo una delle sue tante curiose consuetudini. Si innamorano subito, anche se Enoch sa presto tutto della sorte di lei e, quasi tenendosi per mano, fanno insieme quella breve strada la cui meta entrambi conoscono ma che presto, di comune accordo, hanno imparato ad accettare. Ecco la differenza con "Love Story", un diverso, quasi ottimistico, approccio con la morte che finisce per consolare lei e rendere più adulto e più maturo lui. Un arco psicologico che Van Sant traccia con mano sicura, fiorendolo di situazioni vive e perfino colorite, con dialoghi inclini in più punti ha addirittura un certo umorismo, in cifre in cui, appunto, la levità continua a dominare, fugando, ma sempre con grazia, le emozioni, anche quelle meno forti. Naturalmente per una simile impostazione finivano per avere un peso considerevole gli interpreti e la loro scelta, da parte di Van Sant, è proprio uno dei meriti maggiori del film. Enoch è Henry Hopper, figlio del celebre Dennis, Annabel è Mia Wasikowska, già vista in "Alice in Wonderland" e ne "I ragazzi stanno bene". Gareggiano fra loro, la palma, tuttavia spetta al giovanissimo Hopper: una recitazione che è un ricamo.

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