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Audrey della porta accanto

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Unache nel film più famoso, «Colazione da Tiffany», infila ambiguità e ironia in un ruolo che poteva diventare smielato svela subito la sua intelligenza. Per Audrey Hepburn intelligenza era dare il giusto peso alle cose della vita. Il set andava preso con le pinze e infatti non girò più di 35 pellicole. E quando si infilò la fede al dito ed ebbe figli, beh, mise da parte lo stress da diva e pensò a fare la donna comune. Di questo parlano le foto inedite dal 26 ottobre in mostra all'Ara Pacis, «anche per celebrare i 50 anni di Colazione da Tiffany», ha tenuto a ricordare l'assessore alla Cultura del Campidoglio, Dino Gasperini. A tirarle fuori dal cassetto è stato il figlio della diva di «Moon River», indimenticabile canzone di quella pellicola. Luca Dotti nacque dal secondo matrimonio della Hepburn, che installatasi nella città eterna negli anni '50 con il primo marito, Mel Ferrer, e il figlio Sean, si innamorò poi di un medico romano, Andrea Dotti, che la portò all'altare negli anni '70. Della Capitale, conosciuta nel boom dello star system, di Cinecittà, della Dolce Vita, l'attrice americana aveva detto: «Ogni città nel suo genere è indimenticabile. Ma se mi chiedete quale preferisco, direi Roma...Il ricordo della prima visita non mi abbandonerà finché vivrò». Il corollario fu la scelta di fermarsi in riva la Tevere per 25 anni. L'indolenza della caput mundi le permetteva di calibrare i tempi della giornata. Si sentiva protetta dalla città caciarona e raffinata, lei che - ha rivelato il figlio - «era insicura della sua bellezza e aveva imparato a convivere con questa insicurezza». L'alba rosata sui Monti Parioli assecondava la sua abitudine di svegliarsi presto, presa quando da ragazzina studiava danza classica. Le foto fermano la Hepburn mentre fa la spesa, compra il giornale, accompagna il figlio a scuola. Nell'album - diventato un libro Mondadori, uscita il 25 ottobre - ecco Audrey impegnata nel rito delle «pastarelle» domenicali, al braccio del marito, a passeggio coi cani. C'è, sì, la diva. Serate di gala, pause dei film girati qui, «Vacanze romane» di Wyler, «Guerra e pace» di Vidor, «La storia di una monaca» di Zinnemann. Ma è l'«Audrey della porta accanto» a stupire. Perfetta e semplice nei foulard annodati sotto la gola o dietro la nuca, nella Kelly bag, nei cappottini Givency o Valentino. Restò a Roma fino a quando smise di fare l'attrice. Nacque allora la seconda Audrey, in giro in Asia, Africa, America Latina per aiutare bambini affamati e malati. Il ricavato della mostra va a loro.

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