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di MAURIZIO PICCIRILLI L'inferno afghano.

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Vistada dentro. Da chi l'ha vissuta in prima linea. Sebastian Junger, corrispondente di Vanity fair, per un anno, insieme con il fotografo Tim Hetherington (ucciso a Misurata lo scorso 20 aprile mentre documentava con la sua macchina fotografica l'evolversi della rivolta in Libia, ndr) ha vissuto con un plotone della 173/a Brigata aviotrasportata nella Valle di Korengal in Afghanistan. Ha visto corpi dilaniati. Una violenza senza fine. L'odore del sangue si è impresso nelle sue narici. Ha rischiato lui stesso di morire. «War» (Sperling &Kupfer pagine 320) è il risultato di quell'esperienza. Semplicemente «Guerra»: vista con gli occhi dei soldati. Un racconto che restituisce la verità su un conflitto che va avanti da dieci anni e che appare solo come un lungo elenco di attentati e di sporadiche scaramucce tra talebani e soldati della Coalizione internazionale. Junger ci riporta a una realtà amara, dove emerge tutta la violenza presente nell'uomo. Il suo racconto è la cronaca viva dei pericoli, della noia e della magia che si innesca in 30 uomini impegnati in una terra sperduta a contrastare un nemico insidioso in una lotta impari. Quell'esperienza, Junger l'ha tradotta anche in un documentario: «Restrepo» candidato all'Oscar. «War» è suddiviso in tre lunghe sezioni. «La Paura», «Killing» e «Amore». In ognuna Sebastian Junger ci fa vedere l'entusiasmo, il terrore, la monotonia la miseria, il cameratismo. I protagonisti diventano eroi quotidiani di questa guerra. Moreno l'ex pugile; Murphy: il ragazzo ricco; Buno: incollato al suo iPod che suole ripetere che «ero in giro con i lupi mannari a uccidere». Non poteva mancare l'ex spacciatore di droga, Jones, arruolatosi per sfuggire alla vendetta delle bande e alla possibilità di essere ucciso in mezzo a una strada. Ora rischia la morte in mezzo alla polvere e ai campi di oppio dell'Afghanistan. Il cameratismo tra i paracadutisti si trasforma in barbarie quando di fronte c'è il nemico. Un talebano viene ferito a una gamba e cerca di mettersi al riparo strisciando. Il plotone spara e quando il talebano non si muove più ecco esplodere una gioia che mette allegria nella truppa. Junger dà voce ai suoi «camerati»: non sono sadici ma «quello avrebbe potuto uccidere un nostro compagno». Entusiasmante il racconto della pattuglia circondata dai talebani che riesce a salvarsi grazie all'azione valorosa del sergente. Erano conosciuti collettivamente come «The Rock». Trenta uomini del 2° plotone, Junger e il fotografo. «Guerra» esplora gli elementi psicologici e sociali del combattimento, così come i legami incredibili che si formano tra questi piccoli gruppi di uomini. La morte diventa la loro compagna non più invisibile e silenziosa: ha il suono dei kalashnikov e dei razzi Rpg. Un battaglia infinita durata due lunghi anni. Una battaglia inutile. Lo scorso mese, le truppe americane hanno abbandonato la Valle di Korengal che rimane quindi sotto il controllo dei mujaheddin del Mullah Omar. Come una nemesi storica ricorda la battaglia di Hamburger Hill in Vietnam dove la 101/a brigata delle «Aquile urlanti» conquistò ai nordvietnamiti la collina con numerose perdite e poi il comando di Saigon ordinò di abbandonarla. Questo libro svela l'Afghanistan e la sua guerra, che coinvolge anche i soldati italiani, nel suo giusto contesto. Non solo politica e strategia. Statistiche e chiacchiere. Ma paura, morte e atrocità. E anche solidarietà, lacrime, amore. La sintesi di quello che avviene laggiù è la frase di uno dei protagonisti dopo uno scontro a fuoco. «Ma Dio, Allah, Geova, Zeus non era in quella valle. Combat è un gioco del diavolo. Ecco le nostre preghiere non sono state esaudite. L'unico ad ascoltare era Satana».

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