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Il medico egiziano che ha lasciato il bisturi per il mitra

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Èil nuovo capo di Al Qaeda, l'organizzazione fondata da Bin Laden che ha firmato i più sanguinosi attentati a cavallo di due secoli. Ayman al Zawahri è un chirurgo. Sua sorella gemella, Haba è una delle più apprezzate oncologhe di tutto il Medio Oriente e fa frequenti viaggi in Italia dove collabora con istituti di ricerca del Nord. Nato in una famiglia agiata de Il Cairo, il padre docente universitario in farmacologia; la famiglia è stata sempre molto legata all'università teologica sunnita di Al Azhar. Ayman, molto religioso, mostra con orgoglio l'ematoma sulla fronte indice delle frequenti genuflessioni per le preghiere quotidiane ad Allah, si è avvicinato in gioventù ai gruppi estremisti entrando nella Jihad islamica egiziana, un'emanazione dei Fratelli Musulmani. Nel 1979 è coinvolto nell'assassinio del presidente Sadat. Un anno prima aveva sposato, Azza Nowair, rampolla di una famiglia molto in vista a Il Cairo e dottoressa in filosofia. Morirà durante un attacco di droni americani nel 2003. Dei tre figli, una femmina e due maschi non si conosce la sorte. Probabilmente almeno due di loro sono morti. Zawahri viene arrestato per l'omicidio di Sadat ma grazie all'influenza della famiglia riesce a uscire dal carcere, 1984, e, dopo una sosta a Gedda dove lavora all'Ibn Al Nafis Hospital, sceglie di andare in Afghanistan dove nel frattempo è scoppiata la guerra contro l'invasione sovietica. E lì incontra Osama Bin Laden. Ayman al Zawahri è il riferimento di molti egiziani arrivati in Pakistan per unirsi ai mujaheddin afghani. Nell'organizzazione di Bin Laden diviene ben presto lo stratega. Osama è il leader carismatico e la «faccia pulita»: legato alla dinastia saudita, ricco e soprattutto mai coinvolto in atti di terrorismo. Zawahri è finito in carcere e nella lista nera dei terroristi. Anni dopo la Cia lo descriverà come «il cervello dietro Osama». Gli anni in Pakistan, nelle retrovie della guerra contro i sovietici, il medico egiziano li utilizza per organizzare la sua rete di contatti e fonda un suo movimento chiamato «Talai'i al fath», i pionieri della conquista che però si finanzia con i soldi che dispensa Bin Laden. L'uso disinvolto delle finanze altrui crea problemi a Zawahri. Tre leader dell'estremismo egiziano, usciti di prigione raggiungono il Pakistan per chiedere chiarimenti al medico sui soldi finiti in una banca svizzera. L'offensiva finale contro l'Armata Rossa e l'intervento di Osama mette a tacere tutto. Finita quell'esperienza, siamo nel 1989, mentre Bin Laden torna in Arabia Saudita e poi in Sudan, Zawahri inizia un lungo peregrinare. Prima in Kuwait dove torna a fare il chirurgo per alcuni mesi. Quindi nello Yemen dove pianifica alcuni attacchi in Egitto: è ancora legato alla «Jihad islamica egiziana» e la lotta contro il governo de Il Cairo sarà un pallino fisso di Zawahri. Anche l'attentato contro Mubarak in Etiopia nel luglio 1995 porta la firma di Ayman al Zawahri. Trascorrono anni, tra 1994 e 1996, tra sale operatorie e vertici carbonari con esponenti di gruppi estremisti di mezzo mondo. Ayman Zawahri, usando passaporti di varie nazionalità ma sempre con l'identità del dottor Amin, va a Londra. In Svizzera dove fa sparire le tracce dei suoi conti e acquista alcune schede telefoniche che saranno poi «tracciate» dopo l'11 settembre. Segue gli ordini di Bin Laden: tessere la rete del Fronte islamico contro l'Occidente. Ayman Zawahri soggiorna in Bulgaria, in Bosnia ospite a Zenica, sobborgo di Sarajevo, dei combattenti sauditi. In quegli anni partecipa a molti vertici con i capi di altre formazioni terroristiche mediorientali. A Cipro Imad Mughnaiyh degli Hezbollah e Mus Abu Murzuq, all'epoca capo militare di Hamas, e Fathi Shqaqi della Jihad palestinese. A Teheran nel 1996 al vertice dei gruppi estremisti islamici sarà lui a rappresentare Al Qaeda. L'ex rampollo della borghesia egiziana si è trasformato in manager della Guerra santa. Soldi e piani strategici da distribuire in tutto il mondo. Contatta anche immigrati islamici negli Stati Uniti e secondo un rapporto del Mossad, nel 1995 Ayman Zawahri è riuscito ad andare a New York. Instancabile, è sempre con la valigia in mano e non si separa mai dal suo computer portatile. Ma la sua imprendibilità subisce uno stop nel 1996 quando durante un viaggio nel Caucaso per prendere contatti con i mujaheddin di quella regione incappa in un controllo in Dagestan. Qui il 1 dicembre 1996 viene arrestato con due suoi «ufficiali» Mahmud Al Hennawi e Ahmad Salama Mabruk. Ayman al Zawahri si fa chiamare «Mister Amin» e usa come copertura una ditta di import export la «Bavari-C». I due uomini arrestati con lui fanno parte della cellula della Jihad egiziana in Azerbaijan. Il Kgb tiene in custodia Zawahri per sei mesi fino al maggio 1997 poi lo libera accusato solo di ingresso illegale: mancavano i visti sul passaporto «falso» e alcuni anni dopo i russi sostennero di non averlo riconosciuto. E qui sta il giallo. Zawahri era già ricercato dall'Egitto, aveva un computer portatile con sé di cui gli 007 russi avranno sicuramente letto i contenuti. Nei file c'erano i contatti con gli altri movimenti islamici e soprattutto appunti sulla creazione del Fronte Islamico internazionale con i rapporti con i diversi gruppi fondamentalisti. Il Kgb aveva i migliori islamisti e per molto tempo i gruppi jihadisti erano considerati amici dell'internazionalismo marxista. Non solo, il Kbg conosceva la vera identità di Zawahri dai tempi dell'arresto in Egitto per l'uccisione di Sadat e poi durante la guerra in Afghanistan. Eltsin poteva consegnarlo all'Egitto o agli Stati Uniti ma ha preferito liberarlo. In cambio di cosa? Di notizie sui combattenti in Cecenia e per controllare la sua attività futura? La Cia non è mai riuscita a ottenere risposte. Resta il fatto che Zawahri, 25 milioni di dollari di taglia, è stato arrestato e finito in carcere sei mesi, e poi una volta tornato libero ha ispirato massacri e stragi in tutto il mondo. Russia compresa. Tra i documenti trovati negli effetti personali di Zawahri un visto di Taiwan, la carta di credito di banca di Hong Kong, il rendiconto di un'istituto di credito di Guandong in Cina, numeri di conto di Dubai, un documento che certifica che il «dottor Amin» è il direttore di una ditta con sede in Malesia. E per finire un estratto conto di una banca di Saint Louis negli Stati Uniti. Tornato in libertà, Zawahri raggiunge Bin Laden in Sudan e da lì fanno ritorno in Afghanistan dove nel frattempo i talebani avevano preso il potere e il Mullah Omar era diventato il capo supremo dell'Emirato. È lui a organizzare i campi di addestramento e mantenere i contatti con le cellule all'estero. Il suo numero sarà trovato nell'agendina di Samir Ben Khemais il capo del gruppo terroristico di Gallarate sgominato dalla Polizia di Stato italiana nel 2000. Zawahri si sistema in un compound a Kabul dove riceve esponenti dei diversi gruppi terroristici con i quali è in contatto via internet. Al suo fianco c'è Mohammed Atef, consuocero di Bin Laden al quale spetta l'organizzazione militare, ma è Zawahri che si occupa di sviluppare armi chimiche e si affanna a trovare qualcuno disposto a vendere un ordigno nucleare. Punta soprattutto a sollecitare i «fratelli» che vivono nelle ex Repubbliche sovietiche. nel 1998 partecipa alla conferenza stampa di Osama nella quale viene dichiarata guerra agli Stati Uniti e all'Occidente. Nel frattempo ha pianificato l'attacco alle ambasciate Usa in Africa. l'11 settembre lo vedrà accanto al suo leader. Insieme rivendicano l'attacco e sfuggono alla risposta militare americana. A Kabul lascia il suo computer ricco di importanti documenti: numeri di telefono, contatti, foto, piani. Emerge lo stratega e il manager: negli scritti in codici compare spesso il termine «compagnia», «ditta», amministrazione e direttore generale. Si scopre anche un vasto giro di affari in giro per il mondo con conti correnti aperti in molte banche. La controffensiva dell'Occidente, l'invasione dell'Afghanistan costringono Zawahrii e Bin Laden a dividersi i ruoli. Zawahri è il «motivatore». Bin Laden il leader carismatico che intreccia la religione con la jihad. All'indomani dalla fuga dal rifugio afghano, Ayman Zawahri invia a Londra il testo del suo libro, manifesto ideologico strategico, «I cavalieri sotto l bandiera del profeta». Un corposo volume dove il medico egiziano svela le sue posizioni su Stati Uniti, Israele e i Paesi europei. Minaccia la Regina Elisabetta e Salman Rushdie, Esorta i musulmani d'Africa e Europa a riprendere a Spagna e il Mediterraneo. in un capitolo torna sulle polemiche passate sulla gestione dei fondi della Jihad egiziana, ripercorrendo i passaggi e dando le sue spiegazioni a tutti i «fratelli». Il libro contiene un durissimo attacco ai Fratelli Musulmani rei di aver abdicato alla lotta contro il governo egiziano. Si dilunga sulla situazione palestinese non lesindando critiche ad Hamas. Nell'ultimo capitolo Zawahri parla del futuro del movimento islamico soffermandosi sull'Egitto. Parla della necessità di internazionalizzare la lotta: «Non c'è altra soluzione che la Jihad» sostiene. Enfatizza gli attacchi suicidi «arma micidiale per conquistare la vittoria su crociati ed ebrei». Non dimentica di mettere in guardia sul rischio di divisione e sui traditori. Tra le sue pubblicazioni anche un manuale di pronto soccorso per i combattenti. Dal 2005, anno nel quale Osama Bin Laden decide di «sommergersi», limitando le sue apparizioni, Ayman al Zawahri inflaziona il mondo con i suoi video messaggi: oltre 500 fino a oggi. Si mette in gioco organizzando un intervista on line. Con l'inizio delle rivolte arabe, Zawahri interviene numerose volte, in particolare sette video-messaggi sono riferiti alla situazione in Egitto. La morte di Osama lo proietta al vertice. L'eterno numero 2 conquista la leadership. Non senza qualche problema. La sua nomina vede contrari diverse anime di Al Qaeda. Non solo. Su di lui pesa il dubbio di aver tradito Bin Laden: il corriere yemenita, intercettato e seguito dalla Cia fino al rifugio di Osama, era legato a Ayman al Zawahri. Il medico egiziano, onorerà il suo predecessore con parole piene di enfasi. Un elogio funebre per il «martire Osama». Quindi detta la sua linea: guerra totale a Israele e Stati Uniti. Ma al centro resta l'Egitto e la strategia del «ritorno» per conquistare Il Cairo. Nel frattempo Ayman al Zawahri ha messo in azione i suoi mujaheddin per un nuovo 11 settembre. E celebrare nel sangue il decimo anniversario.

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