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di FRANCO CARDINI «Una giornata al mare, solo, con mille lire, sono venuto a vedere quest'acqua e la gente che c'è?».

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Iltempo in cui una festa d'agosto significava un prato fuoriporta, la sera, con lampadine colorate e fette di cocomero (ridicolo, impronunziabile, glorioso nome di quella che per i buzzurri del nord è l'anguria e per i terroni del sud il melone). Ormai, i miei ferragosti sono da parecchi anni alquanto esotici: non per vacanze, ma per ragioni di lavoro. Per me e per molti miei colleghi, solleone è sinonimo di qualche summer university appollaiata chissaddove, dal Canada al Perù al sudest asiatico all'Australia. "Turismo universitario", lo definiamo tra noi con una punta di apparente disprezzo: in realtà, è un modo non perfido di farsi pagare qualche settimana di vacanza e di continuar a sentirsi giovani stando in mezzo ai ragazzi. Col rischio di beccarsi uno stiramento ostinandosi a sfidare al tennis gente quarant'anni più giovane di te; e perfino (ma purtroppo io non ci casco più da anni) di buscarsi una cotta per la solita ragazzina di cui potresti esser padre… e quasi nonno. Da qua, da questi ben pettinati campus, le notizie della lontana Europa arrivano ovattate, attraverso immagini televisive che sembrerebbero di repertorio se i tipi di auto e di telefonini che si mostrano in esse non comprovassero che, invece, sono proprio roba di oggi. Lunghe teorie di auto immobili, imbottigliate in autostrade brucianti sotto il sole; e spiagge brulicanti di corpi stretti come sardine, rumorose di un'allegria stereotipa e sudata. Poveri ferragosti. È quindi naturale, per noi non più giovani, cavalcare i ricordi fino ai ferragosti poveri di un tempo: a un buon mezzo secolo fa, al tempo delle Vespe e della Lambrette, magari delle prime Seicento ma dove si poteva perfino girar ancora in Topolino senza che ciò significasse partecipare a un raduno di auto d'epoca o far del modernariato. Eravamo una decina, forse quindici, tra universitari più o meno avviati al fuoricorso e liceali diplomandi. Una banda che nel fatidico 1961 (il giorno dell'eclisse totale del mercoledì delle Ceneri: ricordate?) andava dal più vecchio, Marco detto "il Nonno", in realtà un ventitreenne, a Francesco "la Mascotte", che di anni poteva averne sedici. Ci aveva uniti inizialmente la politica: allora se ne faceva molta tra noi ragazzi, e a modo nostro anche seriamente. Non dirò da che parte militavamo perché non voglio scandalizzare nessuno. Poi, ci univano la miseria, o almeno le condizioni molto modeste di quasi tutti, e la frequenza costante alle "Feste delle Matricole" (splendide quelle di Padova) e ovviamente la passione per le ragazze. Grazie a Dio, nonostante il passar degli anni la nostra pattuglia è ancora intatta. Non che si facessero i ferragosti tutti insieme: anzi, le occasioni di riunione plenaria ("adunata", la chiamavamo da buoni eversivi) erano relativamente rare. Di solito, noi più anziani - Marco, io, Guglielmo, Luigi - si era un gruppetto un po' più unito e non era raro che qualcuno di noi mettesse le mani sull'auto del genitore. E allora, sorpresa. Non si andava al mare a fare il bagno. Non si andava nemmeno "a donne", espressione impegnativa che di solito equivaleva a indicare modestissime scappatelle che terminavano, nel migliore dei casi, con qualche rapporto frettoloso e, come dicono i sessuologi, "incompleto". Ma quel che piaceva a noi era girare. Concedersi brevi vacanze per l'Italia, in cerca di gioielli "minori" allora semisconosciuti, mangiando panini e dormendo in una piccola "canadese". È così che ci siano visitati buona parte della penisola, in ferragosti nei quali le strade interne erano deserte in quanto chi poteva andava sulle spiagge o in qualche località montana e gli altri restavano a casa, in città. È stato così che ci siamo goduti per esempio quel luogo fiabesco ch'era il Latium vetus percorso lungo la vecchia Cassia perché l'Autosole grazie a Dio ancora non c'era. Radicofani, Acquapendente, Montefiascone, e poi evitando Roma planare sui castelli, visitare Nemi alla cerca del bosco di Diana (che non si trovava: ma le piccole fragole profumate e la porchetta di Ariccia, quelle sì...), e arrivare a Tivoli, a Villa Adriana, e quindi scendere sino all'Agro Pontino, esplorare i giardini sommersi di Ninfa e salire fino a Sermoneta, e di lì a Fossanova e a Casamari. Altro che "Italia minore": la bellezza di quei luoghi, di quei panorami, di quelle rovine etrusche e romane, di quei castelli, di quelle abbazie, mi riempie ancora gli occhi e il cuore. Ripenso spesso a quei brevi giorni di sole, di vino fresco la sera, di risate e anche di serie discussioni sulla storia e sulla politica. È stata una grande fortuna vivere in un paese bellissimo, aver avuto abbastanza salute e fantasia per godersi con gioia una giovinezza semplice in un paese ancora pulito (in molti sensi…) , aver incontrato amici di quelli che durano una vita. Ripenso oggi a quei ferragosti poveri, ora che un'Italia ammalata di falsa ricchezza (e in vera crisi) celebra nevroticamente il suo povero ferragosto da vivere imbottigliati in autostrada o stipati su spiagge troppo care e poco pulite.

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