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Ciak si gira. La provincia è stregata dal cinema

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diDINA D'ISA Le strade di Roma, come quelle di New York o Parigi, si trasformano ogni giorno in set cinematografici. Da sempre la Città Eterna viene scelta da registi di tutto il mondo come scenario naturale delle loro opere. Spesso quei set diventano oggi tappe di mirati tour turistici. Come Fontana di Trevi, immortalata ne «La dolce vita» di Federico Fellini con la scena del bagno di Ekberg e Mastroianni. E Piazza Navona ripresa ne «Il talento di Mr. Ripley», con Matt Damon e Jude Law, come in «Angeli e Demoni» di Ron Howard e di recente in «Eat, pray, love» con Julia Roberts. Mentre è riapparso nel thriller «Jumper» il Colosseo, location non concessa al cinema dagli anni di «Un americano a Roma» (1954, Steno) e de «La terra vista dalla luna» (1967, Pasolini). Ma proprio lo sfruttamento cinematografico delle grandi città rischia di spegnere quella magia che il cinema suscitava nella gente. A segnalare questo cambiamento è Pupi Avati che ricorda come «il cinema nel contesto urbano delle grandi città (Roma, Milano o Bologna) non suscita più quel tipo di attesa e giosità che si avvertiva quando arrivava il circo equestre: i bambini vedevano montare le tende ed era già festa, tutti volevano prenderne parte, essere attivi. Ora le troupe creano invece fastidi al traffico, ci sono sempre complicazioni amministrative e gimkane burocratiche. Il cinema italiano al 90 per cento era ambientato nella Roma più turistica. Oggi quei set sono proibitivi, permessi solo agli americani come Allen o Howard, che forse pagheranno di più. Invece nei piccoli centri delle Marche, dove ho girato "Il cuore grande delle ragazze" (dall'11 novembre nelle sale), o a Cuneo dove girai "Gli amici del bar Margherita", ti spalancano le braccia e litigano per essere i primi a offrirti ospitalità e comfort. Cinecittà è un valore aggiunto ed è giusto che costi perché è un privilegio lavorarci, ma nelle strade di Roma c'è insofferenza e una continua richiesta di tariffe: mi sembra eccessivo, anche perché il cinema è un'impresa che andrebbe rispettata». Per Giancarlo Giannini invece la «magia esiste sempre nel rapporto tra artista e set. Faccio film in tutto il mondo, l'ultimo, "Ti ho cercata in tutti i necrologi" da me prodotto, diretto e interpretato, l'ho girato tra l'Arizona, la Sicilia, l'Aspromonte, il Canada e gli interni a Roma. La magia c'è dietro la macchina da presa: girando a Monument Valley respiri l'aria dei film di John Ford ed è certo differente se giri al Colosseo, dove c'è tutt'altra atmosfera, ugualmente meravigliosa. Cinema è fare arte in tutto il mondo ed è una continua scoperta di posti nuovi dove non andresti mai. Certo, ci sono set difficoltosi, in Africa o sotto zero, ma la favola continua e il bello è questo. Anche se la fatica di fare film e trovare soldi è enorme e mi sta costando un pezzo di vita». Marco Risi lancia un monito ironico a Woody Allen: «Attento a non fare la fine del "Marziano a Roma" di Flaiano: il protagonista è prima invitato da tutti e alla fine fagocitato dalla noia dei romani che lo sbeffeggiano convincendolo a ripartire». Per Jerry Calà «tutto il mondo è paese: è vero che in provincia ti offrono tutto, ma non sanno a cosa vanno incontro perché la troupe fa sempre qualche danno. Poi, anche nei paesi si fanno furbi e dopo la prima volta cominciano a chiederti soldi per tutto». Saggio il commento di Francesco Ranieri Martinotti, per il quale «i set romani sono difficoltosi secondo il periodo. D'inverno la città è invasa dal traffico, ma ora si lavora bene e non ci sono conflitti tra ritmi metropolitani e troupe. Ma in provincia c'è un altro clima: sto girando un documentario su Scarpelli a Livorno, poi sarò tra l'Elba e Piombino per dirigere Salemme e Abatantuono nella commedia "Tre uomini in buca nove"».

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