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Il padano Verdi scrisse l'«inno Borbone»

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diLIDIA LOMBARDI Ve lo immaginate Giuseppe Verdi, il mazziniano e poi cavouriano, tifare tanto per i Borboni da dedicare a Ferdinando II un inno? Viva Verdi, ovvero Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia, scrivevano sui muri lombardi i patrioti, usando l'acronimo del suo cognome. E allora come avrebbe potuto, il compositore di Busseto, prestare la propria musica ai Borbone? Invece accadde proprio nel 1848, quando il Re delle Due Sicilie concesse la Costituzione. Era il 20 gennaio, l'anno precedente l'Italia aveva cavalcato l'onda della conquista delle libertà politiche, il popolo esultava. E a Napoli fu pubblicato uno spartito dal titolo La Patria - Inno Nazionale a Ferdinando II. Parole di Michele Cucciniello, musica del Maestro Giuseppe Verdi. Non che l'autore del «Nabucco», avuta notizia della «primavera di Napoli», si fosse messo al piano per comporre il peana al monarca che avrebbe presto ritirato la Carta costituzionale e, l'anno dopo, represso violentamemente i moti siciliani buscandosi l'appellativo di «Re Bomba». No, però è un fatto che note composte per l'«Ernani» - il melodramma che debuttò nel 1844 a Venezia e fu rappresentato al San Carlo di Napoli nel 1847 - furono utilizzate per l'inno «borbonico». Però molti ritengono che il lavoro - ritrovato nel 1973 da Roberto De Simone nel Conservatorio di San Pietro a Majella - fosse «rubato» al musicista padano, il quale non sarebbe stato informato del «riuso» della sua musica. Fu l'inglese Hopkinson, che all'epoca del ritrovamento stava scrivendo una monografia su Verdi, a commentare che it is difficult to see what Verdi saw in his despotic character to eulogise, improbabile che celebrasse un despota. Con lui una schiera di studiosi e il trinariciuto Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma: «È un plagio avvenuto all'insaputa dell'autore e dovuto alla mancanza di comunicazione, in quel periodo, tra il Regno delle Due Sicilie e il resto d'Italia«. Insomma, l'adattamento filoborbonico per i più è clandestino. Invece Michele Coccia - grande latinista ed appassionato musicofilo - ha trovato nella biblioteca di famiglia un altro spartito, che a suo parere dimostra il permesso di Verdi all'utilizzo «borbonico» del coro dell'«Ernani». Un'idea condivisa da De Simone e dallo storico Galasso, convinto dai frequenti viaggi e contatti di Verdi sotto il Vesuvio. «Fu mio nonno, Camillo Coccia, che amava scovare rarità in tutte le librerie di Roma - racconta il Il Tempo il professore - ad acquistare queste carte. Sono rimaste sempre nel fondo della biblioteca a lui intitolato. Ed è un documento interessante. Intanto perché è differente da quello di San Pietro a Majella. E poi perché è l'ultimo mandato in circolazione. Infatti quando Verdi seppe della Restaurazione borbonica volle che si distruggessero tutti gli spartiti dell'Inno». Differente perché contiene non solo la musica di Verdi ma anche altri cinque componimenti dello stesso tipo. Tutti dedicati a Ferdinando II, ma firmati da pressoché illustri sconosciuti. Spiega Coccia, che ha appena affidato le sue considerazioni alla Strenna dei Romanisti. «Lo spartito in mio possesso ha un carattere così ufficiale di raccolta di inni nazionali per Ferdinando II che Verdi non poteva non sapere. E poi desiderava tanto vedere l'Italia unita che avrebbe accettato qualsiasi monarca l'avesse realizzata: sabaudo, borbone, vaticano». Viva Verdi!

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