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Se carcere fa rima con mistero

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Quelcorpo prosciugato, quella maschera di ematomi sul viso, un occhio aperto, quasi fuori dall'orbita. Quella morte di Federico Aldrovandi, quel giovane riverso a terra, le mani ammanettate dietro la schiena, esanime. Quelle urla di Giuseppe Uva, dentro la caserma dei carabinieri di Varese. Quelle sue foto col pannolone da adulto incontinente, imbrattato di sangue. Quelle facce gonfie, viola, i rivoli di sangue. E tutte le altre storie, rimaste ignote, oppure richiamate da un trafiletto di giornale, e già dimenticate. Giovanni Lorusso, Marcello Lonzi, Eyasu Habteab, Mija Djordjevic, Francesco Mastrogiovanni. E molti altri. In Italia in carcere si muore. Alcuni sono suicidi, alcuni no. E si muore durante un arresto, una manifestazione di piazza, un trattamento sanitario obbligatorio. Dietro le informazioni istituzionali spesso c'è un'altra storia. Un uomo che muore in carcere è il massimo scandalo dello Stato di diritto. «Quando hanno aperto la cella» ce lo racconta. Luigi Manconi e Valentina Calderone ascoltano, raccolgono e portano alla luce storie di persone - spesso giovani - che entrano nelle carceri, nelle caserme e nei reparti psichiatrici e ne escono morte. In ognuna di queste morti, la morte dello Stato di diritto. Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l'università Iulm di Milano. È stato senatore della Repubblica, sottosegretario di Stato alla Giustizia e garante dei diritti delle persone private della libertà per il Comune di Roma. È presidente dell'associazione «A buon diritto». Valentina Calderone, laureata in Economia, svolge attività di ricerca presso la stessa associazione e coordina i siti internet innocentievasioni.net e italiarazzismo.it.

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