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La Patria secondo Cazzullo

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diM. GRAZIA DI BLASIO Con una formula ormai collaudata, quella del dialogo aperto e schietto tra scrittore e platea, ieri sera Aldo Cazzullo, nell'ambito dell'edizione 2011 del Premio Sabaudia Cultura, ha presentato la sua ultima fatica «Viva l'Italia. Risorgimento e Resistenza: perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione» (160 pagine; Mondadori). Il libro, con la presentazione di Francesco De Gregori, parla di storia ma anche di politica: è «un racconto dell'idea di Patria, dei protagonisti del Risorgimento e della Resistenza, dei combattenti che sono morti gridando Viva l'Italia». Davanti a una platea attenta e pronta a intervenire, partecipe malgrado sulla corte del Comune di Sabaudia soffiasse un fastidioso vento freddo, il prof. Luigi Tivelli, consigliere parlamentare, esperto politologo e direttore artistico del Premio, ha moderato la serata nel corso della quale Cazzullo, insieme al direttore de «Il Tempo», Mario Sechi, ha argomentato su alcuni dei passaggi cruciali della storia italiana. Sul palco, oltre all'autore e al direttore Sechi, anche Giovanni Russo, presidente della giuria del premio e il sindaco di Sabaudia Lucci, mentre tra il pubblico diverse facce note, tra le quali Paolo Guzzanti. L'inviato del Corriere della Sera nel suo libro ha tratteggiato la sua personale idea di Italia che «si vorrebbe divisa o ridotta a Belpaese: non una nazione, ma un posto in cui non si vive poi così male. Invece l'Italia – afferma Cazzullo - è una cosa seria. È molto più antica di 150 anni; è nata nei versi di Dante e Petrarca, nella pittura di Piero della Francesca e di Tiziano. Ed è diventata una nazione grazie a eroi spesso dimenticati». «Viva l'Italia!», secondo il giornalista, oggi è un grido scherzoso «ma per molti italiani del Risorgimento e della Resistenza furono le ultime parole». Citando la Resistenza «non di moda e considerata una cosa di sinistra» Cazzullo ricorda il sangue dei sacerdoti come don Ferrante Bagiardi, che volle morire con i parrocchiani dicendo «vi accompagno io davanti al Signore», dei militari come il colonnello Montezemolo, «cui i nazifascisti cavarono i denti e le unghie, non i nomi dei compagni» dei partigiani «che non furono tutti sanguinari vendicatori ma anzi vennero braccati, torturati, impiccati ed esposti per terrorizzare i civili; e che i «vinti», i«ragazzi di Salò», per venti mesi ebbero il coltello dalla parte del manico, e lo usarono». Neppure il Risorgimento, per lo scrittore, «è di moda e si dimentica che nel 1848 insorse l'Italia intera». Nel simpatico e calzante botta e risposta con Mario Sechi, che lo definisce «intervistatore micidiale, dal talento pazzesco», Aldo Cazzullo ha raccontato la storia dell'Italia in modo chiaro e diretto, respingendo l'idea leghista, prefigurando la nascita di un «partito della nazione» e avanzando un'ipotesi: che in fondo gli italiani siano intimamente legati all'Italia più di quanto loro stessi pensino. Alle «provocazioni» del direttore de «Il Tempo» Cazzullo ha risposto con una battuta che però dà chiara l'idea che lo scrittore ha dell'Italia: «Nella partita più famosa del calcio, Germania-Italia finita 4-3, mentre veniva suonato l'inno d'Italia, prima del fischio d'inizio, Martellini continuò a leggere la formazione e i calciatori non cantarono. Non era colpa né di Martellini né di Riva se l'Inno non era preso in considerazione, erano tempi diversi. Ora i giocatori cantano l'Inno e si torna a dare alla parola Patria, quasi logorata dal Fascismo, il giusto valore». Il prossimo appuntamento con il Premio Sabaudia Cultura è per stasera, alle ore 21, quando Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo presenteranno «Vandali» (Rizzoli).

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