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Italiani brava gente. Anche in guerra

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diANTONIO ANGELI La Germania nazista aveva una rete di comunicazione fitta e segretissima fondata su un marchingegno il cui nome era tutto un programma: «Enigma». Una sorta di super-macchina da scrivere dotata di una serie di rotori che inviava messaggi che venivano automaticamente cifrati e li riceveva, decrittandoli. I nazisti erano sicuri che fosse un sistema inviolabile. Ma si sbagliavano e pagarono caro il loro errore. Dall'altra parte del fronte, un fronte «virtuale» e invisibile, c'erano le forze inglesi, per le quali Churchill in persona considerava fondamentale la supremazia nel settore dell'intelligence. Il primo ministro inglese investì tutte le risorse disponibili per violare le comunicazioni dei nemici. E più erano segrete e inviolabili e più era importante per gli alleati poterle conoscere. Ci riuscirono e, anche per questo, vinsero la guerra. E gli italiani? La situazione dei servizi di spionaggio e controspionaggio al momento dell'entrata in guerra dell'Italia e durante lo svolgersi del conflitto, sono stati uno degli argomenti meno trattati dagli storici. «Di tutti gli aspetti, militari e politici, della guerra combattuta dall'Italia nel 1940-43, quello riguardante il Servizio Informazioni delle forze armate è stato il più trascurato di tutti»: così è scritto nell'introduzione di un corposo e completo libro storico che colma la lacuna: «Generali, servizi segreti e fascismo - La guerra nella guerra 1940-1943», Libreria Editrice Goriziana, 26 euro, 335 pagine. Ce lo propone un giornalista e storico tra i massimi conoscitori di certi risvolti «segreti» della Seconda Guerra mondiale: Carlo De Risio. Forse il velo che ha sfumato l'operato dei «servizi italiani» durante la guerra ha avuto anche una funzione di pudore: il nostro Paese aveva un'intelligence e anche tra le più corpose, ma il coordinamento tra i vari settori era, e anche questa è una considerazione pietosa, alquanto carente. De Risio, con la precisione dello storico e la mano ferma del chirurgo descrive senza pietà la situazione. «L'Italia entrò in guerra, il 10 giugno 1940, con un apparato informativo per ciascuna forza armata: il Sim (Servizio Informazioni Militare) per l'Esercito; il Sis (Servizio Informazioni Segrete) per la Marina; il Sia (Servizio Informazioni Aeronautica) per l'Aviazione. Insomma, ognuno lavorava un po' per conto proprio. Soltanto a partire dal 10 giugno 1941, il Sim cessò di essere organo dell'Esercito per passare alle dipendenze dello Stato Maggiore Generale, con il compito di coordinare gli organi informativi delle singole forze armate. Meglio tardi che mai, ma comunque non fu un provvedimento che risolse i problemi. Le strategie organizzative tese ad unificare e coordinare i servizi furono spesso disattese, a causa di gelosie tra una forza armata e l'altra, con sovrapposizioni di compiti: in alcuni casi gli organi informativi entrarono in concorrenza fra di loro, creando problemi, anche gravi, alle diverse operazioni. Non sempre lo stesso Capo di Stato Maggiore Generale, Ugo Cavallero, fu in sintonia con il Servizio. Soltanto il 20 ottobre 1942 (alla vigilia della battaglia di El Alamein), su ordine di Mussolini, fu disposta l'unificazione del controspionaggio: ma anche questo provvedimento rimase in buona parte sempre e solo sulla carta. Ma, si sa, gli italiani sono maestri nell'arte di arrangiarsi e mettono in tutto un pizzico di genio. Nonostante le disfunzioni organizzative all'intelligence italiana riuscì di portare qualche buon punto a casa: la sezione «P», che sta per Prelevamento, del Sim riuscì ad acquisire importanti codici stranieri, le speciali tabelle per cifrare i messaggi e (molto più importante) quelle per decrittarli e numerosi documenti segreti. Il miglior colpo dei servizi italiani fu la decifrazione del «Black Code» americano, nell'ambasciata degli Stati Uniti a Roma, che consentì all'Asse di conoscere le comunicazioni degli Alleati. Questo elemento fondamentale ebbe effetti importantissimi, per mesi e mesi, sulla guerra in Africa. Ma, caso singolare, in realtà i maggiori a trarre vantaggio dalla possibilità di decifrare i codici alleati furono i tedeschi e non gli italiani. Buona parte dei successi della «Volpe del deserto», il feldmaresciallo Erwin Rommel, comandante dell'Afrika Korps, si deve all'operato dell'intelligence italiana. Di questo, negli anni, si è sempre parlato molto poco. Comunque più di una volta Rommel ha detto: «Ho più fiducia nel Servizio Informazioni italiano che nel mio Servizio».

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