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Di «scoperte», specie su certi «divi» della pittura rinascimentale, se ne segnalano a bizzeffe.

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Dietroun divano di un'abitazione di Buffalo (New York) era nascosto un altro Michelangelo. Ad Acerenza, in Lucania, è spuntato addirittura un autoritratto di Leonardo. Scivolando molto indietro nel tempo, ecco il Papiro di Artemidoro, che la Fondazione San Paolo di Torino ha comprato per due milioni e 750 mila euro e che secondo Salvatore Settis è arcivero mentre l'opinione di Luciano Canfora è che si tratti di un falso di metà Ottocendo ad opera di un geniale greco che però ha scritto su una pergamena autentica, del primo secolo dopo Cristo. Ci si mette adesso uno studioso veneto, che si cimenta addirittura sulla Sindone. La quale non sarebbe l'autentico sudario del Cristo e nemmeno l'opera di Leonardo, come qualcuno ha azzardato. Celata nel volto di Gesù morto, nella reliquia conservata a Torino, ci sarebbe addirittura la firma di Giotto. Con tanto di data, 1315, perfettamente in linea con le analisi al carbonio 14 fatte negli anni Ottanta. A rivendicare la scoperta è Luciano Buso, pittore e restauratore, che da tempo è convinto di aver individuato una tecnica di scrittura nascosta usata dai pittori dell'antichità e tramandata di bottega in bottega fino quasi ai giorni nostri come sorta di incancellabile autentica delle opere. Usata da Raffaello, Leonardo, Giorgione, sostiene Buso, quella tecnica «antifalsari», nata per criptare firme e date nelle pieghe della pittura era conosciuta anche molto tempo prima dal grande Giotto. Che anzi, a dire del restauratore trevigiano, si sarebbe divertito a nascondere miriadi di scritte in tutte le sue opere, dal «Dono del mantello» della Basilica di Assisi alla «Strage degli innocenti» della cappella degli Scrovegni di Padova. L'analisi della Sacra Sindone - che Buso precisa di aver fatto studiando foto ufficiali, nitidissime, avute dall'Arcidiocesi di Torino - avrebbe portato alla scoperta, nel telo, di quella stessa firma tante volte identificata negli affreschi del pittore. «La stessa grafia, lo stesso modo di apposizione delle scritte celate, lo stesso modo grafico di esecuzione del numero 15 che tempo addietro evidenziai nei dipinti di Giotto», scrive Buso nel piccolo volume che illustra e documenta la sua tesi (Acelum Editore, pp.32 Euro 18)». Nel sacro lenzuolo, fa notare Buso, la scritta «Giotto 15», ovvero Giotto 1315, sarebbe ripetuta tantissime volte, nel volto e prima delle mani incrociate del Cristo, in un caso anche a formare una lunga croce. Quindi Giotto avrebbe dipinto la tela e senza nessuna intenzione di dolo, tanto da firmarla in un cartiglio a forma ottagonale, schiacciato, appena sotto il mento del Cristo. Probabilmente, azzarda Buso, si trattò di un rifacimento della Sindone «eseguito su commissione perché il vecchio lenzuolo doveva essere in pessime condizioni». Nessun falso, quindi. E a riprova della paternità del pittore toscano Buso porta la grande affinità iconografica di particolari delle braccia, delle mani e delle gambe del Cristo con i vari personaggi raffigurati da Giotto nei suoi affreschi. La Sindone, conclude, «è stata e sarà sempre uno tra i più significativi simboli religiosi della cristianità, al di là del suo rifacimento da parte da parte del grande Giotto». Ora la parola ai «sindonologi». Li. Lom.

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