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di LIDIA LOMBARDI Don Gino Battaglia, dov'è stato a Pasqua? «In Uganda, a Gulu, colpita qualche anno fa dalla guerra civile.

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Sa,la Comunità, la mia Comunità, è diffusa in molti Paesi africani». E tra poche ore sarà a Benevento, in casa dello sponsor del Premio Strega, che presenterà i dodici candidati. Tra loro c'è lei con «Malabar». Beh, dal ritiro con 200 ugandesi alla passerella con i narratori... Il salto produce straniamento. Ma, insomma, che effetto fa, lo Strega? Molti hanno posto l'accento su di me, il primo prete al Premio. Mi fa piacere, se si scrive un libro è perché sia letto. Ma non vorrei che il personaggio prendesse il sopravvento sul libro . Che la mondanità della cornice si imponesse sul mio racconto. Del resto il libro parla di queste cose, di incontri tra mondi lontani. Già, l'India e i missionari cattolici. L'Asia che lei conosce bene quanto la sua storia. Insegna all'Università di Perugia, ne ha parlato in alcuni saggi. Perché è passato alla narrativa? Studiando le vicende della Chiesa cattolica in India mi sono imbattuto nella figura di Alvaro Penteado. Del missionario portoghese ho rinvenuto lettere non ufficiali inviate a corte. C'erano cristiani nel continente asiatico prima dell'arrivo degli Europei. Potevano essere i discepoli di San Tommaso o i convertiti dalla predicazione nestoriana del IV secolo. Quei cristiani commerciavano il pepe, la spezia che interessava ai portoghesi. E Penteado appare nelle missive un personaggio controverso. In «Malabar», la regione del porto di Conchin, l'antagonista del vecchio missionario è il gesuita Matteo Ricci. Anche lui passò qualche anno in India prima della predicazione in Cina. E anche di lui ho trovato lettere particolari. Così ho immaginato che i due si fossero incontrati. Mi sono figurato cosa sarebbe scaturito dall'impatto tra personalità tanto diverse. Penteado, uomo dell'epopea dell'espasione portoghese, quasi il prolungamento delle Crociate. Ricci, esponente della Controriforma. Penteado pieno di sogni e di ideali. Ricci geniale ma più scientifico, più razionale. Più politico. Il confronto è anche nello stile del romanzo. Lei lavora sull'accumulazione delle parole, sulla ridondanza. Quasi sentisse l'eco della predicazione. Ho cercato di rendere i sentimenti dei personaggi e di trasferire il linguaggio dell'epoca. Matteo è riflessivo, Penteado tormentato. Racconta sogni, sconfitte, solitudine. Il cuore è in tempesta. Del resto conturbante è lo sfondo. La sua India. L'ho narrata come potevano vederla cinque secoli fa, quando le distanze erano abissali e i paesi davvero sconosciuti. Ma anche oggi andare in India è esperienza forte. Quel Paese è l'"altro" per eccellenza. Però mentre l'Occidente patisce la differenza, ne è turbato, l'India assorbe senza contraccolpi. Per questo Penteado si sente rifiutato, e fallito. In realtà l'India lo ha fagocitato nella sua cultura inclusiva. Così nel romanzo lei ha riversato il nodo del dialogo interreligioso. La forma letteraria mi ha aiutato a portare certi temi a un pubblico più vasto. Il racconto è lo strumento migliore per presentare argomenti complessi in modo problematico. Guida, il suo editore, è uno degli indipendenti in corsa in un Premio in genere appannaggio dei gruppi. È l'editore storico di Napoli. Due anni fa, messa la parola fine a "Malabar", inviai il testo a parecchie case. Adelphi, Sellerio, Einaudi, Mauri-Spagnol. Niente o a malapena qualche riga di riscontro. Poi Guida ha deciso di pubblicare. Ora mi trovo in corsa. Conosce gli altri undici? No, sono ansioso di conoscerli a Benevento. Ho letto il libro di Geda, su un ragazzo afghano, e quello di Viola Di Grado, che mi incuriosiva perché ne percepivo la novità. Speriamo che sia davvero lo Strega degli outsider. E che non finisca come nelle ultime edizioni. Sennò non c'è storia.

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