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Faranno santi anche Dalla e De Gregori

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Francesco De Gregori e Lucio Dalla

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È come per le tracce della maturità. All'approssimarsi del Primo Maggio ci si affanna a scoprire il tema del Concertone, per vedere l'effetto che fa. A cosa sono state intitolate le scorse edizioni? Ad argomenti cruciali come le morti bianche, la solidarietà, la lotta contro il terrorismo, la pace. Due anni fa, clamorosamente, la «traccia» ricalcava il titolo dell'album di Vasco Rossi, guardacaso superstar in piazza. C'era più di un sospetto che dietro quello slogan, «Il mondo che vorrei», ci fosse una pubblicità occulta, e non uno spunto di riflessione. Come fosse, il rocker di Zocca monopolizzò l'evento e gli altri artisti furono fischiati, in attesa della sua venuta. Spirava odore di zolfo, più o meno lo stesso puzzo luciferino che nel 2007 si era levato dal palco dopo l'intemerata del conduttore Andrea Rivera, che volgendo lo sguardo verso il Laterano, in diretta tv, vestì panni da antipapa: «Non sopporto che il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby. Non è stato così per Pinochet, per Franco e per uno della banda della Magliana. È giusto così, assieme a Gesù non c'erano due malati di Sla, ma due ladroni. Il Papa ha detto che non crede nell'evoluzionismo. Infatti la Chiesa non si è mai evoluta». Vennero giù le cateratte del cielo, i leader sindacali si dissociarono. L'anticlericalismo, del resto, è stato sempre l'humus sotterraneo - anzi, subliminale - del Concertone, rivolto a un pubblico di giovani rockettari tendenzialmente mangiapreti. Nel '93, fece scandalo la sortita di Pelù dei Litfiba, che dai microfoni Rai aveva lanciato la sua invettiva contro Wojtyla, accusato di «occuparsi di sesso invece che di temi metafisici». Quest'anno, invece, già si avverte profumo di gigli attorno a San Giovanni. No, non quello che spirerà da San Pietro, per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Qui siamo di fronte a una exit strategy verso il perdòno: nel giorno del Santo, sarebbe scellerato invocare il Diavolo del rock. E allora metti la sordina e tappati la bocca prima di guadagnarti l'inferno. La corazzata del Primo Maggio non muoverà contro le legioni del Papa, grazie anche a un complesso lavoro di tessitura diplomatica degli organizzatori con la Santa Sede: nessun musicista o performer disturberà il clima di una giornata per altri versi storica. Quelli che sarebbero stati graditi all'adunata dei fans, ma che erano a rischio di scomunica, sono stati lasciati a casa. Un nome su tutti? Il formidabile cantautore romano emergente Mannarino, cantore dei diseredati, in odore di blasfemia in alcune delle sue canzoni. E allora come si fa - hanno pensato quelli del Concertone - a non pestare i piedi della Curia, stavolta? Semplice, si punta su una «traccia» che mantenga lo spirito laicista dell'avvenimento, e che paia nobile, condivisibile, ecumenica, buonista. Il titolo del Primo Maggio 2011 è dunque «La storia siamo noi. La storia, la patria, il lavoro». La patria? Ancora? Dopo la serata celebrativa del 150mo a Sanremo e il misero flop del programma Baudo-Vespa il carrozzone musical-mediatico sembrava avere fatto il pieno di retorica risorgimentale. Ora siamo in crisi di rigetto, e il problema è che a San Giovanni non avranno alternative: causa amministrative e par condicio la satira sarà out, annuncia già il conduttore Neri Marcorè. E del resto, anche "l'omaggiato" di quest'anno, De Gregori (la "traccia" è dichiaratamente ispirata a uno dei suoi capolavori), annuncia che non lancerà proclami, perché si tratterà «di una festa in cui potersi contare, senza significato politico». Lui, il "principe" Francesco, sarà lì per celebrare se stesso e l'antico sodale Lucio Dalla, alla fine della loro tournée insieme, 32 anni dopo l'originale "Banana Republic". Ecco il senso del Concertone: non sarà una beatificazione per i due vecchi amici, ma quasi. Diciamo un premio alla carriera, e non se ne parli più.

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