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di CARLO ANTINI Le atmosfere kafkiane non popolano soltanto la fantasia di ispirati scrittori.

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Senzadistinzioni. Ed è proprio il carattere di ordinarietà che atterrisce di più. La consapevolezza che ognuno di noi potrebbe restare imbrigliato nelle strette maglie della burocrazia. E la malasorte si trasforma in incubo quando la burocrazia si chiama giustizia, o meglio «malagiustizia». In questo caso ci troviamo incastrati in errori giudiziari, omissioni, superficialità, ripensamenti, gesti maldestri. Le conseguenze si pagano sulla pelle, spesso in modo irreversibile. Il prezzo è la condanna definitiva, il carcere, una vita distrutta senza appello, una famiglia andata in frantumi i cui pezzi difficilmente si riescono a mettere insieme. A tutto questo è dedicato «Il cortocircuito - Storie di ordinaria ingiustizia», scritto da Ilaria Cavo e appena pubblicato da Mondadori. La giornalista Mediaset ha sottratto all'anonimato una serie di vicende in cui cittadini innocenti finiscono per sbaglio sul banco degli imputati con accuse talora gravissime, che sfociano di frequente, oltre che in un estenuante processo, anche in un'ingiusta detenzione. Un penoso e umiliante iter giudiziario, durato a volte moltissimi anni, prima di arrivare a una sentenza di assoluzione, ma spesso fuori tempo massimo e senza un adeguato risarcimento per il danno subito. Nelle diverse inchieste, sostiene l'autrice, si riscontrano «errori non voluti ed errori invece evitabili, errori rimediabili ed errori irreversibili», sempre e comunque tempi troppo lunghi (dai quattordici anni per alcune sentenze penali fino ai quarantaquattro impiegati per venire a capo di una causa civile). Pur riconoscendo «i tanti casi di cronaca brillantemente risolti dalle procure», Ilaria Cavo mette in luce «l'altra faccia della giustizia», analizza il «cortocircuito» che si verifica quando si entra nella spirale dell'errore. Uno sbaglio che si traduce inevitabilmente in un volto e in un nome, nel dramma di persone costrette a vivere, secondo le loro stesse parole, una vita sdoppiata, appesa alle sentenze, con il rischio di impazzire. In attesa di risvegliarsi dall'incubo. Come è accaduto a un professionista dalla vita tranquilla, Ennio Paolucci, ingegnere dell'Anas, vittima di innumerevoli e interminabili processi e additato come responsabile di incidenti dovuti invece a tragiche fatalità. Come è accaduto a un pensionato dall'esistenza irregolare, Sandro Vecchiarelli, erroneamente incriminato per la scomparsa di una giovane amica, Chiara Bariffi, nelle acque del lago di Como. O come è accaduto a un ragazzo irreprensibile, Melchiorre Maganuco, che vive in una realtà sociale dove forte è la presenza della malavita, coinvolto in un'inchiesta per traffico di droga soltanto perché, in assoluta buona fede, aveva conoscenze e numeri di telefono «sbagliati». Particolarmente inquietante la storia di un carabiniere infiltrato, Gian Mario Doneddu, accusato di complicità con i criminali che era impegnato a sgominare. Fino alla tragedia di un padre incarcerato per più di tre anni per violenze mai commesse sulla figlia e assolto con un processo di revisione solo dopo aver scontato l'intera pena. «Il criterio con cui sono state scelte queste vicende - spiega l'autrice nella prefazione del libro - è quello di una sentenza di assoluzione, arrivata dopo anni, dopo troppi anni, ma definitiva. I protagonisti (a eccezione del marocchino Mohammed Fikri, coinvolto nelle indagini sulla scomparsa di Yara Gambirasio) non hanno più conti in sospeso, le loro posizioni sono chiare, segno che la giustizia alla fine è arrivata, anche se in ritardo, sebbene gli atti, riletti col senno di poi, rivelino errori che si sarebbero potuti evitare». Con uno stile chiaro e racconti documentati e ricchi di dettagli, Ilaria Cavo ci accompagna nel dramma umano di chi cerca comunque la forza di rinascere, incollando i pezzi rotti della propria esistenza. Oltre la crudeltà della vita. Facendoci riflettere.

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