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13 maggio 1981. Attentato al Papa

Attentato a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro a Roma nel 1981

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Il Giovanni Paolo II di quel mercoledì 13 maggio 1981 è quello di sempre: è tra la gente. Il Papa polacco non ha cambiato soltanto il mondo, ha anche modificato il modo in cui, nel mondo, il successore di Pietro opera. In tutte le strade della terra, nelle udienze, negli incontri, nei raduni; in ogni possibile occasione troviamo il Papa polacco in mezzo e nel cuore del popolo di Dio. E così, anche quel pomeriggio, a bordo della sua auto scoperta Wojtyla si muove con naturalezza tra le trentamila persone che affollano piazza san Pietro per la consueta udienza del mercoledì. Tende le braccia, saluta, benedice i fedeli: il corpo stesso del vicario di Cristo si offre all'affetto e alla devozione popolare. Ma lì, nella piazza, non tutti amano il Papa. Alle 17,17 Giovanni Paolo II sta prendendo in braccio la piccola Sara Bartoli e all'improvviso i piccioni scattano visibilmente in volo, spaventati dal frastuono di due colpi di pistola esplosi in successione. È accaduto l'impensabile: Mehmet Alì Agca, un giovane terrorista originario della Turchia sudorientale, già condannato per omicidio ed evaso, ha sparato al Papa. Wojtyla si accascia, una smorfia sfigura il suo volto e la «papamobile» parte a tutta velocità verso la prima ambulanza. Alle 17,25 viene caricato sul mezzo di soccorso, su cui salgono anche il suo medico personale Renato Buzzonetti, un infermiere e il segretario Stanislaw Dziwisz. In meno di dieci minuti sono al Gemelli, inizialmente lo conducono negli alloggi che l'ospedale tiene sempre a disposizione del Papa, ma non serve: Giovanni Paolo II è grave, deve essere operato immediatamente perché il proiettile che lo ha centrato all'addome (l'altro ha colpito l'indice della mano destra) lo sta uccidendo. Don Stanislaw gli somministra l'unzione degli infermi, l'anestesista gli sfila l'anello e Karol Wojtyla, con il polso quasi impercettibile, entra in sala operatoria. L'intervento dura cinque ore e mezza, e tutto il mondo resta con il fiato sospeso. In ogni Chiesa e in ogni casa si prega per la vita del Papa, fino a quando la domenica successiva la Radio Vaticana trasmette in piazza San Pietro le parole di Giovanni Paolo II: «Prego per il fratello che mi ha colpito, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo». La voce è stanca, ma chiara. Ciò che più conta: il Papa è salvo. Resterà al Gemelli fino al 3 giugno, e si rimetterà definitivamente agli inizi di ottobre. Il 7 tiene l'udienza in piazza e compie il consueto giro tra la folla sulla «papamobile», come se nulla fosse accaduto: neanche il fresco ricordo dei proiettili di Agca è in grado fermare la ferrea volontà di quest'uomo. Ma perché un terrorista turco ha sparato al Papa? Tutte le ipotesi sono state avanzate in questi anni, fino alle più fantasiose, che è del tutto inutile ripercorrere. I punti fermi restano due: la verità giudiziaria e la posizione della Chiesa. A 70 giorni dall'attentato Alì Agca viene condannato all'ergastolo. Nella motivazione della sentenza si legge che «l'attentato non fu opera del delirio di un delinquente che fece tutto da solo senza l'aiuto di nessuno, ma fu frutto di una macchinazione complessa orchestrata da menti occulte interessate a creare nuove condizioni destabilizzanti». Mai queste menti occulte sono state identificate, ma è chiaro che un Pontefice come Giovanni Paolo II stava inaspettatamente rompendo equilibri religiosi e politici consolidati, e che ciò non poteva essere tollerato a lungo da chi di quegli equilibri aveva a lungo beneficiato. Quanto alla Chiesa, essa non ha mai fatto dichiarazioni ufficiali né espresso ipotesi formali sugli eventuali mandanti dell'attentato. Lui, Karol Wojtyla, affermerà di non aver mai creduto alla famosa pista bulgara, però si dirà sempre convinto che dietro i proiettili di Alì Agca si celasse l'esistenza di un complotto, anche in questo entrando in piena sintonia col sentire comune del popolo che sempre lo ha amato. Ma ciò che gli interessa davvero, ciò che ardentemente desidera è tornare sulle strade del mondo, è portare Cristo tra la gente. Ed è quello che subito riprende a fare. 3-continua

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