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A volte ritornano I "reduci" del rock

Il cantante degli Spandau Ballet

Il leader dei Pearl Jam ammette «Il mio gruppo va avanti solo per soldi»

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La scena pop internazionale sembra esser diventata un social commerce che fa guadagnare un po' tutti: giovanissimi che passano da un talent all'altro con una frustrazione indicibile, discografici (o quello che rimane di questa categoria) alla ricerca di nuovi clienti e nuovo mercato e soprattutto spazi televisivi, i soli a garantire una robusta promozione. Come qualsiasi moderno ipermercato occidentale offre una gamma di prodotti sconfinata, con una sola variante rispetto al passato, quella riguardante il pubblico dei giovanissimi, sempre più omologato e ormai privo di qualsiasi gusto e orientamento personalizzato. A pensarci bene, con tutte le opportunità che il mercato offre, la possibilità di costruirsi una propria base di ascolto dovrebbe aumentare o quantomeno le possibilità di ripensamento. Invece accade tutto il contrario. Come sostiene lo studioso di tecniche di comunicazione Barry Schwarz nel suo saggio «Paradox of choice», è lecito parlare anche di «tirannia della scelta». In tutto questo fragore di mercato in cui gli appassionati di musica sembrano infiammarsi solo dei marchi pubblicizzati in modo intelligente, rimane fuori l'isola di quello che una volta si sarebbe chiamato revival e che oggi è giusto definire post conformismo. È quel settore che porta ormai a riunire nel medesimo crogiuolo artisti degli anni Sessanta ai reduci degli Ottanta, al sempiterno culto dei Settanta a quello che rimane dei non troppo mitici Novanta. È l'ora del «nu-vintage», un'onda che non rispetta tendenze o epoche. Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, lanciando il suo secondo album da solista, non ha difficoltà ad ammettere che il suo gruppo - un tempo una notevole realtà di Seattle - è ormai roba vecchia e che va avanti solo per ragioni di business. Esattamente in linea con il pensiero di Robbie Williams, che di fatto ha lasciato i Take That per l'ennesima volta, non prima di rispettare la data del 12 luglio, quando si esiberanno a S.Siro. Matt Mc Ginn, uomo di fiducia dei Coldplay, uno dei gruppi simbolo degli ultimi quindici anni, ha pubblicato un libro dal titolo «Roadie: my life on the road with Coldplay», dove rivela particolari davvero imbarazzanti sulla formazione tanto blasonata. Chris Martin, cantante del gruppo, avrebbe fatto a botte più volte con il bassista Guy Berryman, eppure girano ancora in tour, senza guardarsi in faccia ma solo per rispettare i contratti. Sembra di tornare ai tempi, non troppo lontani, degli Oasis che alla fine riuscirono a dividersi con buona pace dei fans. E che dire dei minacciosi Stranglers e degli indemoniati Damned? Quasi da soli caratterizzarono l'infuocato panorama punk dei Settanta, fra droghe, liti, alcol ed eccessi di ogni tipo. Bene, quest'anno prenderanno parte al Solfest, considerato il festival pop per famiglie inglesi, pacioso, bucolico e tranquillizzante. Non meno malinconica la posizione dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, arrivati alla corte del sindaco Moratti a trent'anni esatti dal loro successo. Poco New Romantic, disposti a qualsiasi ingaggio o a collaborazioni con artisti che nemmeno conoscono, non offrono certo un'immagine glamour. Sono tornati persino i Van Der Graaf Generator, un gruppo inglese dei primi anni Settanta esaltato più in Italia che in patria. Non manca nemmeno il market degli anniversari. Il 3 luglio saranno quarant'anni giusti dalla morte di Jim Morrison, icona del rock maledetto e leader dei mitici Doors. Quello che rimane della formazione, ovvero il tastierista Ray Manzarek e il chitarrista Robby Krieger, saliranno sul palco del Pistoia Blues Festival il 9 luglio per un memorial-day in onore del loro capo. E così avanti per tutta l'estate. Quest'anno non affanniamoci a reperire un tormentone prima degli altri. Lo abbiamo già pronto: il reducismo senza limitismo.

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