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Nella trincea verde di Tor Caldara

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Guardatela foto sotto. Un grande rettangolo verde, fitto di bosco e digradante verso il mare, resiste alla morsa del cemento. Fa argine, quasi, alle ville e villette della furia urbanistica degli anni Sessanta che ispirarono a Carlo Emilio Gadda le sarcastiche pagine d'avvio di «La cognizione del dolore». Il pezzo di litorale che s'oppone al soffocamento edilizio è a un'ora di macchina da Roma, nel comune di Anzio. Dal 1988 è per fortuna Riserva Naturale Regionale. A ragione, perché questa che fino al XVIII secolo era chiamata «Selva di Nettuno» stratifica mirabilmente natura e storia, monumenti e miniere, delizie e drammi. Il nome glielo dà Tor Cardara, il tronco di torre che, alla fine di un viottolo pianeggiante nel fitto del bosco che si imbocca dalla Litoranea Ostia-Anzio, guarda il mare dall'alto di una falesia di 15 metri. Si chiamava anche Tor Caldano, perché qui la terra, sotto, ribolle. C'è una solfatara, una minima attività eruttiva derivata dal territorio vulcanico dei Colli Albani, che incoronano lontano, ad est, il litorale. In questo posto Stato Pontificio aveva fiorenti miniere, attive fino all'Ottocento. Lo zolfo era trasportato fino a Castel Sant'Angelo e trasformato per usi bellici, farmaceutici o per tingere i tessuti. La Torre, voluta da Marcantonio Colonna, aveva dunque due funzioni. Appoggio per i minatori, ma soprattutto bastione di avvistamento dei Saraceni. Ed è la prima di una serie di avamposti che il Papa Re aveva favorito lungo la costa a sud di Roma. In sequenza a partire da Nettuno, le Torri Astura, il bastione del porto di Anzio, Tor Caldara, Tor San Lorenzo e Tor Vaianica: sui merli si accendevano fuochi quando c'era un pericolo dal mare. E i segnali d'allarme erano avvistati dalla Santa Sede. Ma la frequentazione del luogo data dall'antichità. C'era una villa romana, ad inaugurare l'interesse degli imperatori per la costa, alta sul mare. E così anche il megalomane Nerone si fece costruire ad Anzio una fastosa residenza per gli otia. Del resto, l'incantamento che ancora suscita Tor Caldara è la prova della suggestione di duemila anni fa. La macchia mediterranea resiste con specie rare, il verde ha mille sfumature e profumi. Lecci, sugheri, erica arborea, corbezzolo. Nelle zone umide della solfatara - vicino al laghetto gorgogliante attraversato da un piccolo ponte di legno - ecco ontani, pioppi, tremuli, farnie, la cannuccia di palude, il giaggiolo acquatico. Le polle animate dal gas vulcanico, sorta di genius loci, pullulano di insetti, girini, libellule, ditischi, testuggini palustri, le bisce del collare. Gracidano le raganelle, la rana verde e quella dalmatina. In alto, tra i rami, s'incrociano cinquanta specie di uccelli. Altri animali vengono allevati, perché la Riserva è anche un laboratorio faunistico e botanico usato per l'attività didattica nelle scuole del territorio e in alcune di Roma. E Cecilia De Rubeis, del Comune di Anzio, sta preparando le visite guidate che si effettuano in primavera e in estate. Gli spunti, anche per i bambini, sono tanti. Un recinto ospita quella specie in via di estinzione che è l'asino. Un altro il raro cinghiale maremmano. Nei fossi sonnecchiano le tartarughe delle specie meno note. In una grande gabbia si curano volatili e poi le guardie forestali li liberano. Visitare Tor Caldara è d'estate una sfida all'afa della spiaggia, al vacuo ciabattare dei turisti. E adesso, avvio di primavera, è un'immersione nella natura che vibra di vita. Ma è pure una lezione di storia. Le spiagge tra Torre Astura e Tor San Lorenzo, i boschi, le dune, le faglie del pleistocene hanno sopportato, dalla mattina del 22 gennaio 1944, i cingoli dei carri armati dei liberatori. Gli angloamericani si acquartierano qui. I soldati inglesi proprio a Tor Caldara costruirono trincee e capanne nascoste tra gli alberi e al riparo dai bombardamenti dei tedeschi schierati sui monti dell'interno. Restarono nell'accampamento per quattro mesi, il tempo che ci volle per avviare la marcia su Roma città aperta. Nel sottobosco le buche e le canalette di scolo ancora testimoniano le ferite della guerra e del territorio. C'è tanta memoria da disseppellire. Li. Lom.

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