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direttore artistico o impresario?

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L'attualedirezione artistica del Festival di Sanremo, incarnata da Gianmarco Mazzi, rivendica una nuova interpretazione del delicato ruolo. In precedenza il direttore artistico, unitamente ad una commissione di esperti, vagliava il materiale che perveniva e lo giudicava attraverso una serie di valutazioni che riducevano progressivamente il numero delle canzoni aspiranti fino ad arrivare alla rosa delle incluse. Da qualche anno è tutto cambiato. I cantanti vengono corteggiati, rincorsi, convinti e alla fine ingaggiati. L'antico sistema era quello classico, utilizzato dai direttori artistici di tutto il mondo, compresi quelli dei festival cinematografici; il secondo e attuale metodo somiglia più ad un impresariato. Dunque la scelta è fra un direttore artistico che si affida ad un team di esperti e un impresario che si fida solo delle proprie valutazioni. Due professioni nobilissime, basta intendersi. La prevedibile risposta è sempre la stessa: se ci affidassimo alla libera richiesta di cd ci troveremmo sul tavolo solo le canzoni di Paolo Mengoli, Christian e Mario Zelinotti. Già, invece in questo modo? Qualcuno è riuscito a convincere Biagio Antonacci o Paolo Conte a presentarsi in gara e rischiare una brutta figura? Il metodo impresariale a chiamata presenta inoltre altri rischi, non ultimo quello di esaltare esageratamente la statura artistica dei cantanti(e mai delle canzoni) che si è riusciti a convincere. Quest'anno sta accadendo con Roberto Vecchioni, un cantante che ha passato tutta la vita a parlar male di Sanremo e che quest'anno, sorprendentemente, si dichiara entusiasta di esserci. In questo la stampa e gli addetti ai lavori sono addirittura sodali: trattano Vecchioni come Tom Waits o Leonard Cohen. Ora la palla passa al pubblico. Indipendetemente del "premio alla carriera" vedremo chi canterà la sua canzone e quanti la ricorderanno il prossimo anno.

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