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«Fuori dai salotti e dai soliti schemi non ha avuto fortuna»

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eccelsonarratore, originale critico». Così il decano degli storici della letteratura italiana, Walter Pedullà, su Tommaso Landolfi Ma allora perché, Pedullà, Landolfi non ha avuto la fortuna che si merita? Perché lascia il lettore perplesso, scoperto. Perché si maschera dietro i suoi giochi troppo intellettuali. Perché vuole trasmettere messaggi con l'inconscio. Un'operazione che compie anche con l'uso che fa della lingua. Anzi, con l'invenzione della propria lingua. Però anche Gadda ha plasmato un idioma tutto suo. Guardi, Gadda è meno letto di quanto stimato. Ma si è imposto come un classico moderno. E Landolfi? Landolfi quasi programmaticamente vuole essere impopolare. Allora, Gadda lavora dentro l'individuo, per lui la realtà è nella psiche. Landolfi mina qualsiasi elemento costruttivo, geometrico. Mina l'Ottocento. Anche per questo è uno pazzo per i racconti. E poi sfugge, non vuol farsi riconoscere dal suo pubblico. Una maschera che gli nuoce. Non gli importa. Usa lo stesso stratagemma degli artisti che biffano la lastra per non fare mai la stessa opera. Svaria dalle favole ai racconti grotteschi. Fino ai frammenti autobiografici di "Rien va" e "Des mois". Uno difficile da classificare è anche difficile da pubblicare. È così. Prenda per esempio "Cancroregina". Qui non c'è fantascienza, c'è piuttosto la fantasia di un matto. Che soffre anche di un ostracismo ideologico? Diciamo che il suo anticonformismo dava fastidio. Chi non è omologabile è implicitamente un sovversivo. E se pure era stato in carcere per antifascismo, politicamente era un reazionario. Non stava certamente dalla parte del popolo. Occupò piuttosto una posizione intermedia, ribelle a ogni formula. Specialmente quella che inchiodava i narratori al realismo. Specialmente. La sua tesi? "Non so se esiste la realtà. E se pure esiste, non mi interessa". Li. Lom.

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