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Il talk senza show

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Bruno Vespa, Maurizio Costanzo e Michele Santoro

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Fiorello ha ragione: in Italia, da un po' di anni a questa parte, facciamo una tivù triste che ripete se stessa ed i suoi format all'infinito. Una patologia che non riguarda soltanto i reality, i programmi del pomeriggio e quelli di prima serata, ma che investe in pieno pure i talk show, gli spettacoli di parola. Il palinsesto delle reti generaliste è affollato, da mattina a tarda sera, dalle solite facce dei tanti - troppi! - politici, degli opinionisti, dei giornalisti e di chi più ne ha più ne metta. Il punto è che il meccanismo del talk sembra ormai essere diventato lo stesso della pornografia: movimenti meccanici a ripetere senza nessuna sterzata creativa, automatismi banali, tutt'al più qualche rinculo. Quando cominci a seguire un dibattito sai - molto spesso - come finirà. Siamo vigliacchetti a non cambiare? In parte sì ma in parte temo che il mondo televisivo nazionale abbia ben poche idee, poca formazione, poco studio e viva nell'innamoramento di sé.   Per cominciare a cambiare, infatti, basterebbe ben poco: pochi accorgimenti per trasformare i talk «relative» show - dove tutti hanno sempre ragione e mai nessuno torto - in qualcosa di meno triste. Primo: un lavoro autoriale ma soprattutto di conduzione che rimetta al centro della tv l'intelligenza. Sei un politico noto ma hai ben poco da dire? Bene, perché invitarti in tivù? Sei un opinionista senza acume? Ok, allora evitiamo di moltiplicare sul video questa tua mancanza. Stesso discorso, ovvio, per conduttori ed autori di programmi. Se ad un minimo di ristabilimento dell'ordine logico seguisse poi il peso della realtà nei torti e nelle ragioni, beh, saremmo (quasi) a cavallo. Un esempio semplice: va in scena un dibattito tv sull'acqua. Un ospite sostiene che l'acqua bagna, l'altro sostiene di no. Bene, qui non siamo davanti ad un confronto di opinioni, il tanto celebrato contradditorio (che pure ha stufato, perlomeno così per come viene declinato in Italia) bensì ad una persona che dice una cosa reale, l'acqua bagna, e ad un'altra che dice una bischerata. Il talk show, nel XXI secolo, può riacquistare valore se riparte da qui. I tempi della destrutturazione della tv e del linguaggio, dell'A bocca aperta di Gianfranco Funari e della trash tv, del tutto è relativo, sono ricordi di una rivoluzione passata che, oggi, si è fatta conformismo. Perché ogni intuizione ripetuta all'infinito diventa routine, banalità, a volte nefandezza. Noia. Cambiare - ve lo dice un giornalista che è anche autore televisivo da un po' di anni - non sarebbe da vigliacchetti. E nei talk show sarebbe - in termini economici - a costo zero. Per superare la pigrizia, come spesso accade in Italia, basterebbe guardare oltre l'Oceano, agli Stati Uniti, magari riascoltando una frase di Steve Jobs (il cofondatore di Apple e l'uomo che, insieme a Bill Gates, ha rivoluzionato la quotidianità umana nell'era di internet e del 2.0.) pronunciata tempo fa, in un discorso ai laureandi di Stanford: «Stay hungry, stay foolish». Siate affamati. Siate visionari. Siate - aggiungiamo noi - tele-visionari.

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