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Fabiana Pellegrino «Il nostro amore è andato storto, da subito.

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Leimi amava, ma aveva altro da fare. Lavorava, per sua figlia. Non venivo prima nei suoi pensieri e non l'ho sopportato». L'esordio letterario di Donatella Di Pietrantonio è folgorante: ha il sapore della fatica, l'odore della sofferenza e il suono delle parole mai dette. «Mia madre è un fiume» (Elliot, pag. 128) è un romanzo popolare e anche il racconto dell'amore «storto» tra una madre e una figlia. «Ti chiami Esperia Viola, detta Esperina. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoquarantadue, in una casa al confine dei comuni di Colledara e Tossicia. Era l'ultima abitazione prima dei monti, un piccolo sasso rotolato per sbaglio dal fianco orientale dell'Appennino abruzzese». È la voce della figlia che racconta la sua storia a una madre corrosa dalla malattia, senza più ricordi né nostalgia. Sullo sfondo l'Abruzzo della fatica nei campi, del sudore delle stalle, della durezza della vita in campagna. Un romanzo vero e doloroso.

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