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Giamatti, un bastardo

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diDINA D'ISA Grassoccio, spelacchiato, sguardo ironico e vigile, Paul Giamatti ha convinto tutti nell'edulcorata (almeno al cinema) «Versione di Barney», tratta dall'omonimo bestseller di Mordecai Richler, diretta da Richard J. Lewis e da oggi nelle sale dopo una gestazione di sette anni. Tra commozioni e risate il divo ha già trionfato alla Mostra del Cinema di Venezia nei panni di un romantico bastardo ed ora è già in odore di Oscar. La storia (che potrebbe irritare la sensibilità dei tantissimi appassionati del libro cult) segue un uomo irascibile e inquieto nell'arco di oltre 40 anni: prima tappa a Roma dove, da ragazzo, il protagonista vive la sua personalissima boheme. Prima che Barney, dopo averne combinate di tutti i colori (tra folli amori e un incidente che provoca la morte del suo amico), diventi un cinico manager televisivo, perdendo poi progressivamente la memoria per l'Alzheimer. Giamatti, italo americano con un nonno che realizzava orologi in America, non fatica a confessare che lui è un po' «come Barney. Non sono un tipo troppo amabile. Per prepararmi ho ovviamente letto il libro e devo dire di aver ammorbidito sullo schermo il personaggio originale. Barney è molto romantico, frustrato e pieno di un'ossessione che lo rende allo stesso tempo dolce e bastardo. La cosa più difficile è stata interpretare lui da giovane. La gioventù è ormai troppo lontana da me e, francamente, non mi ricordo nemmeno più com'ero a 28 anni», aveva raccontato sul Lido. Nel film c'è tanto umorismo ebraico perché Richler era un personaggio scomodo per la stessa comunità ebraica alla quale apparteneva e si divertiva a prendere tutti in giro con le sue battute politicamente scorrette. Anche Paul Giamatti, in quanto a irriverenza, ne ha da vendere. Ma quello che più affascina dell'attore è che riuscito a interpretare due persone in una: romantico e frustrato, tenero e bastardo, paterno e infantile, un vendicativo dall'animo bovino. Giamatti ha però svelato di aver provato anche una paura folle nell'affrontare «un testo del genere, così amato; ero sotto pressione tutti i giorni. Per fortuna, che a stemperare la tensione c'era un divertentissimo Dustin Hoffman, nel ruolo di mio padre - diceva - Dustin crede sia parte del suo lavoro raccontare barzellette sporche tutto il giorno. È un attore intenso, da Actors Studio, che adora provare ed esplorare di continuo, è un artista interiore, tanto quanto io sono esteriore e appena ho finito di indossare i panni di un personaggio, lo rimuovo e lo dimentico. Anch'io, come Barney, quando mi sono sposato volevo scappare, ma mi sono trattenuto. Scherzi a parte, ho accettato questo ruolo proprio perché mi permetteva di fare ciò che non ho mai avuto il coraggio di fare, è stato divertente persino recitare un ubriaco, forse perché fingeva sempre di non esserlo». E visto che Giamatti adora l'horror demenziale (dopo il dramma politico di Clooney e «Cosmopolis» di Cronenberg) reciterà in «John Dies at the End» e «Buddah Nosferatu», un gotico paradossale nel quale un surreale Elvis Presley va a caccia di vampire.

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