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L'Ambasciata di Francia apre il palazzo Roma rivive secoli di fasto principesco

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Iprincipi Farnese l'occupazione del territorio la marcarono anche volendo il fastigio più altisonante per il proprio palazzo. Anzi, fu il più carismatico personaggio della casata - nata in Toscana ma sbarcata a Roma per acquisire prestigio - a cercare il meglio per la cima all'edificio sorto sui terreni che aveva comprato a raffica. Un nobile prima cardinale, poi papa. Alessandro Farnese, salito al soglio pontificio nel 1534: il Paolo III che Tiziano ritrae nervoso, ormai vecchio, senza copricapo in uno dei ritratti più celebri del Cinquecento. «Il Papa voleva il più bello e ricco de' cornicioni che mai fossero stati. Tutti i più valenti artisti si posero a disegnar cornicioni...». La spuntò Michelangelo scandendo la parte più alta dell'edificio con i gigli dei Farnese. Altri grandi del Rinascimento dipinsero, progettarono, ornarono. Francesco Salviati, Taddeo Zuccari, Annibale Carracci affrescano soffitti, gallerie, studioli popolandoli di dei. Arrivano opere di Sebastiano del Piombo, di El Greco, di Raffaello. E sculture, iscrizioni, monete, gemme, presi dagli scavi di antichità. Insomma, una dimora-museo, Palazzo Farnese. Fastosa fin nella piazza, con le due fontane provenienti dalle Terme di Caracalla. E lo spazio dilatato, dove impazzivano i romani nelle feste rinascimentali e barocche, nello sfarzo di nozze, nelle licenze del Carnevale. Palazzo Farnese è una delle meraviglie della Capitale. Una cesura preziosa tra il blasonato budello di via Giulia - la strada intitolata all'altro papa che lasciò un segno nella città, Giulio II - e gli umori sanguigni di Campo dei Fiori, con l'ingombrante presenza di Giordano Bruno. Palazzo Farnese dove Scarpia insidia Tosca, dove risiede l'ultimo Borbone in fuga da Napoli, dove passa il vento della Liberazione, dove si ferma il generale De Gaulle. Ma l'edificio tanto innervato nell'immaginario dei romani è chiuso ai cittadini. Sede dell'Ambasciata di Francia, il suo portone è generalmente invalicabile. Adesso, per quattro mesi, finalmente si svela. Apre le porte e riassembla per una mostra gli oggetti, i dipinti, le sculture che, contro la disposizione testamentaria di Paolo III, sono usciti per sempre dal suo portone. Accadde nel 1734, quando l'ultima dei Farnese, Elisabetta, sposa di Carlo di Borbone, portò a Napoli tutte le collezioni. E da Napoli - la reggia di Capodimonte e il museo archeologico - torna la maggior parte dei 150 pezzi esposti. Ma ci sono pure gli arazzi finiti al Quirinale e quella veduta del Panini, «Festa per il matrimonio del Delfino di Francia», dal Museo di Norfolk, che meglio di un trattato di costumi e di tradizioni romane racconta quello che avveniva qui. Non ci sono invece due sculture che testimoniano l'intelligenza (e la spregiudicatezza) della famiglia nel costruire la propria raccolta: l'Ercole e il Toro, due opere del II secolo dopo Cristo tanto importanti da essere connotate con il «cognome» Farnese. Furono trovate negli scavi delle Terme di Caracalla, Michelangelo le volle nel cortile del palazzo, sono al Museo Archeologico di Napoli. Non dà a vedere più di tanto il rammarico per la mancanza dei due capolavori Francesco Buranelli che con Roberto Cecchi ha curato l'esposizione. L'intento di ricreare i «fasti farnesiani» è riuscito perché i riflettori accesi sul palazzo, l'aver scardinato le sue stanze segrete - come la Galleria affrescata dai Carracci - è una «riflessione sulla storia e recupero del classicismo». Insomma, ricostruisce l'aura che si respirava tra le mura del Buonarroti e di Antonio da Sangallo. Che poi tanto ben di Dio sia in terra di Francia - tale è lo spazio dell'ambasciata nella Capitale - si spiega così: nel 1874 il conte di Noailles ottenne da Francesco II, ultimo sovrano delle Due Sicilie in esilio a Roma, l'affitto di una parte dell'edificio per installarci la sede diplomatica. I cugini d'Oltralpe comprano il palazzo nel 1911, ce lo rivendono nel 1936. Ma Roma e Parigi firmano un accordo che prevede la locazione delle due rispettive ambasciate per 99 anni. Simbolico il prezzo dell'affare. Meno male che l'attuale ambasciatore, Jean Marc de La Sablière, è stato tanto stregato dal luogo dove abita e lavora da ideare la mostra. L'ha pagata tutta lui, aiutato da un gruppo di sponsor. Merci.

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