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La strada verso Al Qaeda

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La copertina di Shahid di Maurizio Piccirilli

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La noia era una condizione a cui Ahmed era abituato. Quando era a casa, ad Hammam-Lif, pensava fosse dovuto al fatto di non far nulla. Poi, giunto a Milano, in quelle sere trascorse con Kamel e gli altri a bere birra davanti alla stazione ne aveva dato l'origine all'insoddisfazione di non riuscire a realizzare i propri sogni. Ma ora? Perché si sentiva pervaso dalla noia? Aveva un lavoro, era riuscito ad avere il permesso di soggiorno anche se falso. No, non c'era un motivo. Ahmed si sorprendeva sdraiato sul letto a fissare il soffitto, senza stimoli. Del resto cosa aveva ottenuto: un lavoro che gli permetteva di sopravvivere lì in quella città straniera, ma il resto era un futuro incerto. I sogni che avevano riempito le sue notti in Tunisia, il chiosco sulla spiaggia, i turisti, le straniere. Le risate, i suoi fratelli che lo aiutavano. Un sogno. E tanta noia. Così prese a frequentare più spesso la casa del suo datore di lavoro. C'era sempre gente nuova. Gli algerini e gli egiziani erano sempre più numerosi. Si pregava prima di mangiare. Una semplice invocazione ad Allah e poi si divideva il cibo. Una sera un algerino aveva portato alcune videocassette. Era un film di guerra. Guerra vera. Immagini riprese dai mujaheddin ceceni durante i loro attacchi alle truppe d'occupazione russa. «Guarda come salta in aria», esclamò Rachid indicando il televisore. «Ecco, ecco, vedi i corpi che schizzano via dal carro armato», sottolineava Chokri. Mohammed Nasri era come impassibile: guardava senza fare commenti ma era compiaciuto che i suoi ospiti si esaltassero di fronte a quelle immagini. Ad Ahmed sembrava piuttosto di vedere un film: con qualche immagine sfocata, mossa, ma con tanta azione. E poi ecco i guerriglieri ceceni in mimetica, barba lunga che pregano con il kalashnikov al fianco. Alcuni rossi di capelli e con gli occhi azzurri: tutti con quel copricapo strano simile a quelli che si usavano dalle sue parti. Era quello un segno che si trattava di «veri musulmani». E ancora, le riprese li sorprendono acquattati dietro una collina. L'obiettivo inquadra la strada sottostante ed ecco apparire una colonna di mezzi corazzati. Un attimo e le immagini sobbalzano. Un carro esplode su una mina, gli altri mezzi si fermano mentre i guerriglieri su in collina iniziano a sparare contro i nemici. La telecamera riprende e il filmato diventa un video di propaganda per la jihad cecena. L'impeto, lo sforzo per vincere. Ahmed però continuava a non capire. Tutto quel parlare di religione, jihad, di combattere la guerra santa per difendere i musulmani. Ahmed si annoiava e così riprese a spacciare dopo il lavoro. Un modo per arrotondare. Qualche stecca di hashish che comprava dal solito Kamel e la rivendeva ad altri connazionali. Anche a qualche italiano, ma non si fidava: troppe guardie si fingevano compratori per incastrarli. In questo modo Ahmed iniziò a guadagnare bene, ma non era soddisfatto: aveva sempre paura di essere arrestato sia per la droga che per quel permesso di soggiorno che qualcuno poteva un giorno scoprire essere falso. Tra il 1996 e il 1997 la comunità di nordafricani a Milano divenne più numerosa. Algerini, tunisini e marocchini stavano tutti assieme. Gli egiziani erano meglio integrati nella società italiana e svolgevano un ruolo catalizzatore per tutta la comunità islamica. Ahmed riprese a frequentare casa di Nasri in occasione del Eid ul Fitr, la fine del mese del Ramadan. Gli ospiti avevano tutti la barba e conoscevano il Corano a memoria, e lui per questo si sentì un po' a disagio.   Tutto cambiò quando Fezzani, uno di quelli con cui divideva l'appartamento a Buccinasco, ricevette da suo fratello Rachid la notizia della morte della sorella di appena vent'anni avvenuta in Tunisia. Fezzani era un ragazzo tranquillo, anche lui frequentava gli amici di piazza Vetra, abitavano assieme da molto tempo e condividevano tutto: problemi, divertimenti e noia. Ma la notizia lo sconvolse a tal punto che fu preso da un profondo spirito religioso. Fezzani era come Ahmed, l'Islam era solo il Ramadan, la festa della pubertà e poco altro. L'amico iniziò quindi ad avvicinarsi all'Islam. Piangeva e pregava. Aveva iniziato ad andare nella moschea di viale Jenner, ogni giorno, per tutto il giorno. Aveva smesso di spacciare, e la sera portava a casa il cibo della moschea che poi mangiava con gli amici che abitavano con lui. Aveva anche iniziato a farsi crescere la barba. In quel periodo Fezzani aveva anche preso a vedere videocassette con immagini della jihad come quelle che Ahmed vedeva a casa di Nasri. Le prendeva alla moschea. Ahmed non seppe mai chi gliele fornisse. Insieme al cibo portava i filmati: così Ahmed si convinse che le prendesse a viale Jenner. L'amico parlava sempre della sua religione cercando di convincerlo. Ahmed non lo sopportava, era diventato tutto così pesante. Noioso. Per evitare discussioni Ahmed tornava a casa quando lui non c'era. La mattina quando l'amico andava in moschea, lui era al lavoro, poi tornava al pomeriggio e dormiva. La sera usciva, quando Fezzani faceva rientro a casa. Studiava tutti i modi per evitarlo. Non gli andava di sopportare interminabili discussioni e soprattutto quel continuo parlare di morte, di sofferenza. La religione non poteva essere così. Da bambino gli avevano spiegato che l'Islam è religione di pace, di solidarietà. Adesso era diventata solo una tragedia. Quando pioveva Ahmed andava da Nasri o rimaneva a casa, a letto, a fissare il soffitto e crogiolarsi nella noia. Ma dovunque andasse si ritrovava a vedere le videocassette che Fezzani portava dalla moschea e quelle degli amici di Nasri. Così piano piano anche Ahmed si avvicinava a quelle idee. Iniziava a sentirsi parte integrante dell'Ummah. Contrariamente al suo compagno di stanza, Ahmed continuava a spacciare e fumare hashish, anche se Fezzani, ma anche Nasri, gli dicevano che non doveva fumare e spacciare perché era contro la loro religione. Le cassette che vedevano assieme erano della guerra in Cecenia e in Bosnia. Mostravano la violenza dei russi sui musulmani e inneggiavano alla jihad. C'erano immagini dove si vedevano i musulmani di Bosnia torturati e chiusi dentro i lager. Si vedeva la Brigata Al Mujahed mentre sfilava a Sarajevo con i combattenti santi che indossavano le divise nere e la fascia verde sulla fronte. Poi vedevano altre cassette con sceicchi che parlavano e inneggiavano alla jihad. Queste venivano dall'Afghanistan. Una sera a casa di Nasri c'era molta gente. Alcuni erano egiziani. Dopo aver cenato e visto alcune cassette con sceicchi che parlavano della necessità di impegnarsi nella guerra santa contro gli infedeli, la conversazione si fece più animata del solito. Nasri, un certo Saber e Al Obeida si infervorarono su quali fossero le personalità più importanti. «Qatada e Omar Abdul Rahman sono senz'altro gli sceicchi che rispetto di più», diceva Nasri. «Al Obeida, conosci Abdul Rahman?» «Mai sentito», rispose Al Obeida. «Omar Abdul Rahman è uno dei più eruditi dei tempi di oggi – spiegò allora Nasri, – non c'è uno sceicco come lui. Ce ne sono altri come Abdullah Azzam». Ahmed rimase quasi incantato da questi racconti. Mohammed Nasri, allora, intrattenne i suoi commensali con altri racconti di altre importanti figure della rinascenza dell'Islam.

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