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Hegel meglio di un Chianti classico

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Neè arciconvinto una dei talenti più brillanti e originali del nostro tempo, il filosofo inglese Roger Scruton, che ama dividere il tempo suo e della famiglia fra il Wiltshire rurale di Albione, dove alleva cavalli, e quella Virginia che sta oltre l'Oceano in cui il moralismo ancora non è riuscito a silenziare cacciatori convinti come lui. Chi segue Scruton con una certa passione (ma basta persino quella cosa oggi rara che si chiama attenzione alle cose) ne conosce l'arguzia, e bene sa quanto la sua filosofia sia capace di riportare al buon senso e al buon gusto ogni vana eccentricità di questo nostro mondo oramai privo di bussola. Ma il suo nuovo (in italiano) libro, «Bevo dunque sono. Guida filosofica al vino» (Cortina, Milano, 2010, pp. XII+240), tocca l'apice. Strappando a Bacco lo scettro del vizio che getta l'animo nella perdizione, questo aureo libretto di Scruton distilla tutta la nobiltà di cui è capace l'arte umana: la capacità di trasformare le materia prima in risorse, così da far cultura nel mondo ma non del mondo. Perché lo spirito, Scruton lo sa bene, è cosa seria, soprattutto quello di vino. Bevo dunque sono è un gran libro. A cominciare dal titolo, che con ottima ironia ribalta come un calzino

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