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Trekking alla romana. Con vista

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diLIDIA LOMBARDI Intendiamoci. «Roma capoccia» di vedute mozzafiato ce ne ha a bizzeffe. Dal Pincio alla Terrazza Caffarelli, dal Gianicolo alla cima del Vittoriano (ma senza arrivarci in ascensore, sennò che conquista è?) è un caleidoscopio di scorci da far ammutolire l'orbe terraqueo, figurarsi i lumbard ora rabboniti dalla coda alla vaccinara. Ma la veduta che vi proponiamo qui accanto è accattivante perché ha un must alla rovescia. Poco frequentata, poco conosciuta, poco trendy nonostante sia quasi nel cuore della Capitale. Soprattutto senza fronzoli kitsch, come baretti, bancarelle, giri a cavalluccio e via contaminando. Insomma, questa è una veduta spartana eppure da «m'illumino d'immenso». Arriva come regalo dopo un assaggio di trekking. E diventa punto di partenza per un'altra tranche di trekking. Entrambi assolutamente metropolitani. La terrazza in questione sta nella Riserva Naturale di Monte Mario, proprio sopra Villa Madama e lo Stadio Olimpico. Ci si arriva imboccando un sentiero boscoso, una salita ombreggiata in ogni stagione, da un cancello che si apre alla seconda curva di via de Amicis, scendendo da via della Camilluccia. Il fiato può farsi grosso, ma il sottofondo di cinquettii che mentre si sale annulla il ronzio delle automobili consola e invita ad andare avanti. E infatti dopo duecento metri il pianoro s'apre alla luce, alle querce si sostituiscono i pini e lo sguardo spazia sulla città e oltre. Ecco, stesi ai piedi dello scalatore cittadino, alcuni punti cardinali capitolini. Subito sotto, l'ansa del Tevere che circonda i Parioli, villa Madama e villa Mazzanti. Più lontani i tre «scarabei» dell'Auditorium di Renzo Piano e il minareto della moschea di Paolo Portoghesi. A chiudere l'orizzonte la linea degradante dei Simbruini, la «gobba» del Monte Guadagnolo, i colli che scendono al mare. C'è un senso di separatezza che affascina. Certo, conviene andarci in compagnia perché di guardaparco non c'è traccia. Lo scorso giovedì verso mezzogiorno sono spuntati due carabinieri a cavallo, perfetti in siffatto contesto. Ma erano lì solo perché nella sottostante Villa Madama era accolto con i dovuti inchini il premier cinese. Ma insomma, le panchine invitano a sostare con un libro. E le tavole segnaletiche, quelle poche rimaste integre, aiutano a decifrare le specie botaniche che la selva umida, mesofila come dicono gli esperti, riesce a far crescere in piena città. Ci sono il carpino nero e una variante di quercia che si chiama roverella. E l'acero campestre, il nocciolo, il biancospino, i lecci, il ginepro, l'olmo, il pioppo bianco. E gli animali? Di notte svicolano la donnola e la talpa, di giorno cantano lo scricciolo e la cornacchia grigia. Il viottolo a destra prosegue in discesa e costeggia da una parte le villone di via della Camilluccia, dove i più ricchi della città coltivano la vite. Dall'altra ci si affaccia su una vallatella, dove un albero di fichi porta ancora gli ultimi frutti. A terra trovi famigliole di ciclamini, il pungitopo che ai primi di dicembre diventa natalizio riempiendosi di bacche rosse, l'alloro. L'atmosfera bucolica è interrotta da un prosaico «Mortacci tua» vergato con lo spray su un altro dei cartelli esplicativi installati nel 1997, quando il parco fu inaugurato. «Mannaggia» protestiamo alla romana. Però conviene proseguire. Ora si risale. Una freccia rossa, in perfetto stile Cai, consiglia di voltare a destra, in salita. Se infatti si tira dritto, il viottolo si stringe e costeggia la recinzione di Villa Madama. Seguendo invece l'indicazione, si raggiunge in cinque minuti Villa Stuart, senza evitare di chiedersi come mai, sul declivio opposto, possano esserci da decenni casette abusive con tanto di orto. Giriamo la domanda al Sindaco. Il trekking finisce dietro la scuola elementare «Leopardi», frequentata dai bambini dei ricchi condomini di viale delle Medaglie d'Oro. Si scende nella piazza, riprende il frastuono di autobus, macchine e moto. Adesso levatevi gli scarponi e infilate le decoltè con i tacchi alti.

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