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Monachesi futurista per sfuggire alla noia

Figure Nuove 1953

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Più che un movimento artistico il Futurismo è uno stato d'animo. Lo ha dimostrato un artista vulcanico e pirotecnico come Sante Monachesi (Macerata 1910-Roma 1991), a cui viene dedicata fino al 24 ottobre una bella mostra dal Museo della Fondazione Roma per celebrare il centenario della sua nascita. Fin dalla prima gioventù l'esplosione creativa futurista ha rappresentato per Monachesi l'occasione per evadere dalla pigra vita di provincia, tanto da farlo aderire subito e con entusiasmo all'avvenirismo di Marinetti. Ossessionato dalla vivacità sperimentale di Boccioni, Monachesi ha realizzato fin dai primi anni Trenta sculture astratte spiraliche di grande impatto. E da allora in avanti, anche quando apparentemente sembrerà più lontano dalle ricerche futuriste, si porterà invece sempre dietro un fiducioso ottimismo volto al futuro e un gusto inesausto per la sperimentazione di nuovi materiali nati dai progressi tecnologici. Connaturati al suo carattere di futurista istintivo saranno anche la passione per il gesto eclatante e provocatorio, oltre ad un'audace esuberanza che lo portava a fare e disfare un movimento dietro l'altro (il più famoso resta quello «Antigravitazionale»). Tutto ciò emerge bene nella mostra promossa dalla Fondazione Roma, grazie all'impegno delle figlie dell'artista, Luce e Donatella e del curatore, Stefano Papetti. Monachesi amava stupire tutti con improvvisi cambiamenti di rotta che passavano disinvoltamente dalla figurazione all'astrazione ma pur sempre con una coerenza interna fondata sullo squillante dinamismo delle forme e dei colori. Gli è stata spesso rimproverata troppa accondiscendenza verso i gusti del mercato, in contrasto invece con la sua voglia continua di sperimentare. Ma in fin dei conti questo atteggiamento anticonformista ricorda quello di Matisse, di cui si racconta l'abitudine di lavorare in due studi diversi, uno per fare i quadri che attraevano il pubblico e l'altro per dipingere quelli che piacevano a lui stesso. In ogni caso, in quella che conquista il primato sorprendente di essere la prima grande antologica romana dell'artista sono rappresentate tutte le sue opere più celebri, i «Muri ciechi di Parigi», i fiori, le clownesses. Ma quel che resta più impressa negli occhi è la sua visionaria leggerezza degli anni Sessanta, quella delle aeree e mutevoli sculture in gommapiuma (le Evelpiume) e soprattutto dei fantastici perspex colorati e fluorescenti, dalle forme metamorfiche, a cui è dedicata un'intera sala. Qui trionfa il suo immaginario cosmico e poeticamente giocoso che merita un applauso a scena aperta.

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