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S. Rosa, fede e tradizione Il trionfo di Fiore del Cielo

La processione della Macchina di Santa Rosa a Viterbo

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Il «miracolo» si è ripetuto anche ieri sera. Tra due ali di folla straripante che assiepavano strade, vicoli e piazze di Viterbo, i facchini di Santa Rosa hanno rinnovato lo sforzo, al limite del sovrumano, del trasporto di «Fiore del Cielo», la Macchina alta 30 metri ideata da Arturo Vittori, al suo secondo passaggio. Uno spettacolo straordinario che rinnova la tradizione più sentita dai viterbesi, così antica eppure sempre nuova, unica al mondo, tanto da meritarsi l'attenzione dell'Unesco per l'inserimento nel patrimonio dell'umanità. Protagonisti assoluti i facchini, un centinaio di uomini vestiti di bianco con fascia rossa in vita, che rispondono all'unisono ai comandi del capofacchino, Sandro Rossi. Una tensione che monta dal pomeriggio, quando i facchini si radunano per il giro delle sette chiese, fino al momento in cui raggiungono la chiesa di S. Sisto per ricevere la benedizione «in articulo mortis» dal vescovo. Poi la preparazione: i posti più ambiti sono quelli da «ciuffo», assegnati ai facchini più esperti. Un nome che deriva dal copricapo di cuoio che scende fin sulle spalle per proteggersi durante il trasporto. E infine il fatidico ordine (ieri giunto con oltre mezz'ora di ritardo sull'orario previsto) del capofacchino: «Sotto col ciuffo e fermi!» e subito dopo «Sollevate e fermi!». Il campanile si alza come un fuscello ma le sue cinque tonnellate pesano, eccome, sulle spalle di quegli uomini disposti a tutto per rendere omaggio alla Santa Patrona, per portare in trionfo nelle strade abbuiate la Macchina con la statua di Rosa che trenta metri più su guarda benevola la sua città e i suoi fedeli. «Santa Rosa, avanti!»: la Macchina prende vita grazie al suo motore umano e avanza a ritmo cadenzato verso le tappe successive. A Piazza Fontana Grande la prima sosta, le prime sensazioni sul trasporto. Sui volti i segni della fatica ma Rossi assicura: «Tutto bene, è come ce l'aspettavamo, nessun problema». In piazza del Comune la girata, dedicata a chi in qualche modo era legato al trasporto e non c'è più. La gente applaude, incita i facchini, chiede grazie alla Santa Bambina. E ancora verso piazza delle Erbe, prima di iniziare il passaggio più delicato, quello nell'imbuto del Corso, con le temute «accollate», quando sulle spalle dei facchini possono gravare anche 150 chili. Lo spazio è talmente poco che la Macchina sfiora tetti e balconi. Sosta al Suffragio e poi quella più lunga in piazza del Teatro, dopo la quale si aggiungono le corde per l'ultimo tratto, effettuato di corsa, fino al sagrato del monastero. «Evviva S. Rosa» il grido liberatorio: l'impresa è compiuta, i facchini possono finalmente abbracciare i familiari rimasti in trepidante attesa.  

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