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"La pecora nera" nell'ex manicomio

Ascanio Celestini

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La pecora nera, di e con Ascanio Celestini, e con Giorgio Tirabassi e Maya Sansa, Italia, 2010. Ascanio Celestini è attore, autore di teatro e di televisione, regista di cortometraggi e adesso di questo lungometraggio tratto da un suo spettacolo sempre intitolato "La pecora nera" e ritrascritto poi in un suo libro pubblicato da Einaudi. Intento a coltivare precisi impegni sociali e anche politici, qui continua a dedicare con il cinema quella sua attenzione che, con il teatro e la letteratura, aveva già dedicato alla malattia mentale. Non però dall'esterno, con i soliti accenti iperrealistici con cui tanti film guardano alla pazzia, unicamente invece dall'interno, nell'ottica di chi la vive e ne soffre, con quel distacco sufficiente a fargliela intendere e con l'illusione, spesso, di dominarla. Due momenti, che fra loro si intersecano. Il primo, Nicola bambino che vedrà la madre morire in manicomio e che , a scuola, si avvicinerà a una coetanea quasi innamorandosene. Il secondo, Nicola adulto, ricoverato a sua volta in manicomio (adesso definito "istituto per malattie mentali"). È tranquillo, ordinato, sempre disposto a ragionare quasi con saggezza, solo con un'anomalia evidente, l'idea di avere lì un amico al quale, pur solo immaginandolo, presta tutti i suoi impulsi erotici e con un'unica violentissima manifestazione di squilibrio quando incontra, come commessa al supermercato dove va diligentemente con una suora a far la spesa, quella stessa bambina ora cresciuta di cui s'era infatuato da piccolo. L'interiorità, la quiete, il distacco sollecitato dalla voce narrante del protagonista che si racconta e si commenta anche da bambino, con delle logiche che, ovviamente, mancano spesso proprio di logica ma che trovano sempre i motivi e gli spazi giusti nelle cornici di quell'istituto in cui sono evidenti l'ordine e il metodo, senza mai incrinature né accenti di troppo. In cifre in cui, pur nella rappresentazione tutta soggettiva di quei fatti, si percepisce sempre, quasi in filigrana, la partecipazione dell'autore attraversata da sentimenti di una solidarietà commossa e spesso malinconica. Il protagonista è con rigore asciutto lo stesso Celestini, al suo "doppio" dà segni concreti e non di rado persino coloriti Giorgio Tirabassi, mentre Maya Sansa disegna con finezza quel personaggio femminile che torna concreto dal passato.

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