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Maranzana imperatore di Shanghai

Mario Maranzana

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L'antico legame fra Italia e Cina è stato celebrato e rinnovato da Mario Maranzana che ha presentato lo spettacolo «Un gesuita alla corte imperiale cinese. Matteo Ricci da Macerata a Pechino», all'Expo di Shanghai alla fine di giugno, con una scenografia allestita dall'artigiano siciliano Manlio Carta che vive e lavora in Cina. Autore, interprete e regista dell'evento che ha riscosso un forte successo davanti a un pubblico internazionale, l'attore triestino ha compiuto ottant'anni il 14 luglio, ma è sempre ricco di interessi e proposte come segnalano i suoi futuri impegni scenici: la carrellata nelle avventure teatrali del suo passato «Allora io» e «Verdi, supremo anelito» in occasione dei festeggiamenti per l'Unità d'Italia. Che impressione ha avuto della Cina? «Non c'ero mai stato prima e ho capito che tutto quello che abitualmente si dice dei cinesi è sbagliato. Sono un popolo lontano dalle follie dell'Occidente e privilegiano la vita pratica, ovvero ciò che si vede, si sente e si tocca. Shanghai è formata da migliaia di strade che si incrociano con rara eleganza e un'illuminazione notturna da sballo. Dall'albergo al luogo di lavoro coprivo una distanza come da piazza Colonna di Roma ad Arezzo! Il padiglione italiano dell'Expo era incantevole: da tanti anni non vivevo un'esperienza così geniale realizzata dagli Italiani. Ormai nel nostro Paese una persona di genio non può più far nulla e solo all'estero riusciamo a essere apprezzati». La sua scelta di rendere omaggio a Matteo Ricci ha funzionato? «Sapevo già che fosse molto più noto in Cina che in Italia: è fra i dieci saggi del mondo nella Città Proibita. Nato nel 1552 a Macerata e approdato in Cina come gesuita, divenne consigliere speciale dell'imperatore cinese e fu esonerato dalla Compagnia di Gesù, finendo scaraventato nell'oblio per secoli, finché non lo riscoprì Pio XII nel 1939. Morì nel 1610 e quindi ho celebrato il quarto centenario della sua scomparsa con i cinesi che tanto l'hanno capito e valorizzato. Nel mio spettacolo Ricci è incarnato da David Coco, mentre io mi divido nel duplice ruolo di due suoi compagni gesuiti che rimasero affascinati dalla sua ostinazione nel voler spiegare ai cinesi il dogma cristiano». Qual è stato il più bel complimento ricevuto a Shanghai? «Uno scultore cinese, altissimo contro ogni pregiudizio, mi ha detto in perfetto italiano che mi ringraziava per la preziosità della mia lingua, ma soprattutto ha dichiarato di aver appena realizzato una statua di Matteo Ricci e di volerne subito preparare un'altra in base all'immagine di lui offerta dal mio spettacolo». Cosa significa compiere ottant'anni? «Ho scherzato con la battuta "Sono nato il giorno della presa della ... Pastiglia!". Quest'avventura cinese, però, mi ha dimostrato come esista ancora un tratto virgineo nel mio carattere: riesco sempre a imparare e a scoprire con entusiasmo ogni novità! L'aspetto negativo dell'età è invece che non mi piaccia più nulla di quello che mi circonda adesso in Italia. Il teatro, per esempio, è invaso da persone che saranno anche meritevoli di vivere, ma non dovrebbero salire sul palco solo perché sono andate due volte in televisione. Non hanno il miracolo di presenza dell'attore! Il cinema è forse più facile, tuttavia prendere la gente dalla strada non ha mai reso giustizia all'arte dello spettacolo e non è una via verso la verità!».

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