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Tutti i poveri devono morire

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Dalsapore lynchano, agrodolce quanto basta. «Tutti i poveri devono morire» di Giovanni Di Iacovo (Castelvecchi editore, pag. 156, 14 euro) è un affresco psichedelico della società contemporanea, molto italiano, poco «politically correct». Eppure convince e cattura il lettore costringendolo in una giostra senza senso che, alla fine, un significato pure ce l'ha. Qui non c'entrano bene e male, non esiste morale e i personaggi vivono di una crudeltà d'autore che li rende veri nella loro assurdità. È un racconto credibile proprio nel paradosso su cui si regge, perfettamente in equilibrio, lungo le pagine. Di Iacovo gioca con l'assurdo, si fa illusionista e mischia fantasia e verità. Una setta con la missione di purificare il mondo dalla povertà, in cui la «Regola» è uccidere, a patto che la vittima sacrificale sia più povera dell'assassino. Un disegno folle che ha lo stesso odore aspro di questa società, un'iperbole noir che, girata, fa da specchio a chi la guarda. Pedofilia, sadismo, pornografia, torture e crudeltà sono gli ingredienti di un racconto grottesco almeno quanto la realtà. Qui la povertà diventa problema di igiene sociale, l'amore non esiste, il sesso annoia e uccidere è un capriccio classista. Di Iacovo, però, non spaventa, anzi attira chi legge in una storia che scorre fra le dita. La sua fantasia funziona e alla fine, quando tutto diventa buio, è difficile capire da che parte stare tra assassini e vittime.

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