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Li santi (o le streghe) de Roma

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Primo '900, ambulanti a Roma davanti alla basilica di San Giovanni

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«Me feci un bell'insogno l'altra notte/ che annamio tutt'e dua a San Giovanni». Canta Gigi Proietti, stornella sulla festa dell'estate che mischia sacro e profano. Oggi è il giorno del Battista, è la notte più corta, secondo tradizione più che per il calendario astronomico.  Le streghe devono sbrigarsi ad andarsene. Il sole fa capolino prestissimo, e le acceca. Una manciata di giorni, ed ecco la gloria degli altri santi de Roma, i patroni Pietro e Paolo. Venerate aureole della porta accanto, quelli che i pischelli, giocando nel vicolo, apostrofavano: «San Pietro e san Paolo, opritece le porte!». E i ragazzetti della squadra opposta: «Le porte stanno aperte pe' cchi ce vòle entrà». L'intrigo delle credenze e dei simboli s'accumula nel giorno di San Giovanni, che quest'anno la Capitale ricorda rispolverando l'antica festa attorno alla Basilica, con bancarelle, canti, cantastorie che resteranno fino a domenica. Perché s'immagina, nella spianata tra la basilica e la Scala Santa, il sabba delle streghe? Perché lo spettro della crudele Erodiade - la fedifraga che impose al cognato-amante Erode Antipa di tagliare la testa al Battista - vaga senza pace nei prati del Laterano, dove geme per i rimorsi un altro spettro, quello della figlia Salomè. Il gruppone delle streghe dà manforte all'adultera. Bisogna scacciare le maligne. Per questo «li romani de Roma» accorrono in massa, accendono falò, agitano campanacci. Attenti però a non svegliare «Er Nocchilia», il mostro apocalittico nato dalla fusione dei profeti Enoch ed Elia. Lui dorme sotto la Scala Santa, come ben sa Gioachino Belli, che ne «La fin der monno» lo evoca: «...Poi pe ccombatte co sta brutta arpia/Tornerà da la bbùscia de San Pavolo/Doppo tanti mil'anni, er Nocchilia...». Dopo la notte infernale, l'elegia della campagna romana. Si andava fuoriporta a mangiare le lumache in umido. Il motivo? Nel medesimo periodo dell'anno gli antichi romani celebravano la dea Concordia. E siccome le corna, al tempo dei buoni Quiriti, simboleggiavano la discordia, farsi una scorpacciata di chiocciole, per di più affogate nel sughetto, significava mettere al bando le liti. Insomma, il 24 giugno è anche il giorno del «volemose bene». Eccole allora le comari col cesto sotto il braccio, che arrancavano dietro ai pischelli e al marito. Tutti alle fraschette, portandosi «er fagotto». All'oste pagavano solo il fastidio, «lo scommido». Abbuffate pantagrueliche alla Salita degli Spiriti, dove di lumache, tra la cicoria e la mentuccia, se ne trovavano a bizzeffe. La settimana dopo era ancora baldoria. Il 28 giugno, la vigilia, si comincia coi «Vesperoni» e il coro della Sistina. Si benedicono i pallii, che il Papa sistema sulle spalle di patriarchi, vescovi e metropoliti. La lana del tessuto è preziosa: c'è anche quella di due agnellini benedetti il 21 gennaio di ogni anno, nella chiesa di Sant'Agnese. La mattina del 29 giugno tutti a messa nelle chiese ad hoc. A piazza Santissimi Apostoli, a San Pietro in Vincoli, dove sono conservate le catene che imprigionarono Pietro, a San Paolo Fuori le Mura, nella basilica der Cuppolone. Qui, in fila tra l'incenso, a baciare, a sfiorare, a consumare con lo struscio il piede del primo apostolo, creato in bronzo da Arnolfo di Cambio. Oppure alle Tre Fontane, dove San Paolo fu decapitato e la testa, rimbalzando tre volte, fece sgorgare altrettanti zampilli. Al tramonto, la processione. Con le catene di Pietro, o con quelle di Paolo, la reliquia di 14 anelli di ferro conservata nel tempio della via Ostiense. La sera finiva in gloria con i fuochi d'artificio da Castel Sant'Angelo. Ma si poteva continuare il giorno dopo. In gita fino all'«Osteria del 31», oltre Porta Cavalleggeri. O da «Scarpone» a San Pancrazio, o da «Capoccetta», o al «Belvedeve», sulle rive del Tevere. Era un via vai di giocattolai e ambulanti. Imperavano i porchettari con lo slogan «La porchetta di Cadorna chi la magna ciaritorna». Risate e preghiere, ex voto e tressette. E sovrapposizioni di date. Su Pietro e Paolo la tradizione si nutre di imprecisioni. I due venuti dalla Giudea si salutarono nei pressi della Piramide di Caio Cestio. Il Carcere Mamertino si dice fosse la loro prigione. Ma non furono martirizzati lo stesso giorno. Pietro fu crocifisso a testa in giù (come nel dipinto di Cavaraggio a Santa Maria del Popolo) presumibilmente nel 64 dopo Cristo, durante la persecuzione neroniana dei cristiani. Paolo nel 67. Da cittadino romano, non gli toccò l'onta della croce, fu decapitato. Abbinarli nella devozione è tornare alle origini di Roma. Travasare in loro i fondatori dell'Urbe, Romolo e Remo. Principi pagani e principi della Chiesa, le fondamenta della caput mundi.  

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