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La rivoluzione di Timi contro la follia del potere

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Apprezzatoin teatro quanto al cinema, il perugino Filippo Timi è autore, regista e interprete dello spettacolo «Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche», riscrittura personalizzata della figura di Amleto, in scena all'India fino a domenica, che ha appena ricevuto a Milano il Premio Hystrio. «Il titolo esprime perfettamente un discorso sul potere» ha spiegato il protagonista. «Amleto come Maria Antonietta danno risposte effimere e assurde. C'è una critica ironica su cosa significhi avere l'autorità. Mi concentro sul problema personale del personaggio più che sulla storia. Amleto è un vizioso e non può essere solo sconvolto da una madre poco seria. Si gioca sul paradosso dell'essere e del rinunciare alla maschera per un uomo che vuole essere davvero tutto: l'ambizione somma. Esiste un momento in cui senti di dover reagire alla situazione in cui vivi: un modo è traslare il rifiuto dell'ingiustizia in un discorso teatrale». Appassionato di Majakovskij e Artaud, spettatore spesso annoiato e soddisfatto in platea solo davanti alla compagnia Raffaello Sanzio, al Teatro della Valdoca e a Danio Manfredini, Timi ha ancora nel cuore l'incontro con il Danton di Büchner e col Satana di «Paradiso Perduto», ma dichiarandosi però «un ribelle artisticamente che nel quotidiano ha voglia di tranquillità casalinga. Credo che la vita sia straordinaria in tutte le sue sfumature: posso innamorarmi della serata in pantofole o scrivere tutta la notte un teorema di matematica quantistica». A chi gli domanda quale sia il trucco per aver fortuna, risponde: «Credere nei propri sogni!». T. D. M.

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