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Si scrive democrazia Si legge aristocrazia

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.Nonostante le più o meno trecento pagine una volta iniziato non ci si riesce più a fermare. Ci si stropicciaNO gli occhi, si fa un bel respiro e si riprende, ansiosi di scoprire curiosità, aneddoti e agghiaccianti segreti che l'ex presidente della Repubblica elargisce in quantità industriale. Con il materiale di un solo capitolo del suo libro (in tutto sono dieci) altri ci costruirebbero una carriera. Lui no, è di manica larga e spazia in lungo e in largo nei sessant'anni di misteri all'italiana aprendo squarci di luce che abbagliano, mostrando orizzonti che fanno girare la testa. «Fotti il potere» è scritto come un horror-thriller: non si capisce tutto, non si vede mai esattamente la figura del mostro che si muove nelle tenebre. Si intuiscono contorni, si stabiliscono collegamenti tra il passato e il presente, si avverte una tagliente inesorabile logica in quello che racconta Cossiga. Ma il mistero, come nei telefilm «X Files», non viene mai spiegato fino in fondo. E questo riempie di suspense la narrazione, che però non parla di ufo e alieni, ma della vita, della nostra vita in questi ultimi, drammatici, anni. Promettendo nel sottotitolo di svelare «gli arcana della politica e dell'umana natura», «Fotti il potere» ha un inizio bruciante. Dopo la più criptica delle dediche a Paolo Mieli il lettore si ritrova a origliare dietro una porta socchiusa. Nella stanza Cossiga che discute, animatamente, con un politico giapponese convinto che l'attentato del 2001 alle Torri Gemelle sia stato voluto e organizzato dagli stessi Stati Uniti. Nonostante gli ottanta suonati Cossiga dimostra di essere in piena forma, ha una memoria strepitosa e ogni sua parola cattura il lettore. I suoi racconti inseriscono di prepotenza l'Italia in un girone di giochi e poteri internazionali. Un girone che molti, se non tutti, per troppi anni hanno finto di ignorare. Partiamo da Churchill, il vecchio Churchill, come lo chiama Cossiga che sembra di vederlo lì, accanto a lui, con sigaro e bombetta. Ecco, lui diceva che la democrazia è una forma pessima di governo, ma per il momento non ne è stata inventata una migliore. E via così tra fatti e teorie apprendiamo che la bomba di piazza Fontana fu opera degli americani. Mentre invece Mani Pulite fu seguita e concertata dall'Fbi (e non dalla Cia per carità), ma il motore di tale e tanta inchiesta va ricercato nel mondo economico che ha così aumentato a dismisura il suo potere. Che vi credete? Una volta il presidente della Confindustria faceva anticamera per parlare con Alcide De Gasperi. Oggi sono i politici che frequentano le anticamere dei banchieri. «Si scrive democrazia, si legge aristocrazia», perché chi governa è come un drogato che non ha alcuna possibilità di disintossicarsi. E parlando della Guerra Fredda, del Kgb e del dopo Kgb, di come il potere alla fine diventi fine e mezzo dell'azione politica, improvvisamente Cossiga (e anche il bravo Cangini, non leviamogli una fetta di merito) ti delizia con piccoli, curiosissimi aneddoti. Divertenti e un po' grotteschi i tentativi di corruzione nei confronti dello statista. Anni fa una persona molto potente, stupita dal fatto che lui, ministro, vivesse in una casa in affitto, lo invitò a recarsi da un notaio perché voleva regalargli un appartamento. Cossiga racconta di aver declinato l'offerta e di aver chiesto al personaggio, per favore, di non insistere perché altrimenti avrebbe ordinato ai carabinieri della sua scorta di arrestarlo. Altro che i ministri di oggi. Un'altra volta Cossiga, e qui ci mette nome e cognome, si trovò di fronte il conte Agusta, quello degli elicotteri, che «per fargli cosa gradita» gli porse un autoritratto di Renoir. All'allora ministro parve brutto rifiutare e donò poi il quadro al ministero. L'economo del dicastero lo valutò 500mila lire. Una miseria. Ma comunque il quadro, assicura Cossiga, è ancora là.

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