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80 candeline per Clint

Clint Eastwood

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Ottant'anni, ruvidi e rugosi, eppure portati con stile. È il contrassegno di Eastwood, il cow-boy silenzioso e cotto dal sole «inventato» da Sergio Leone, poi il coriaceo ispettore Callaghan, un tipo che picchia duro, piaccia o non piaccia ai «politicamente corretti», infine il regista-attore che stupisce, anzi disorienta chi gli aveva appiccicato addosso le etichette di rozzo e di incolto, perché tira fuori e fa risuonare a tutti i livelli una sensibilità raffinata. Attraverso un linguaggio cinematografico di scabra intensità, che ora scava nell'intimità dell'individuo ora affronta problemi sociali e di costume ora si addentra con spirito epico ed equanimità di giudizio nella storia più recente, e sempre lo fa all'insegna di un anticonformismo e di una voglia di verità, che sono merce rara nella cultura e nello spettacolo. Tanto di cappello da parte di tutti, oggi, di fronte a Clint Eastwood. Ad ogni suo film fanno seguito esercizi di ammirazione, i critici si inchinano reverenti, il pubblico si commuove. E dalla Francia gli arriva la «Legion d'Onore». Possiamo dire che le vecchie «riserve» si sono sciolte come neve al sole del successo? Eppure non è passato tanto tempo da quando gli intellettuali impegnati della Hollywood «liberal» sentenziavano: qui qualcuno canta fuori dal coro «democratico». Un paio, poi, sono «fascisti». Ricordate? Uno dei «reprobi» era il regista John Milius, quello di «Un mercoledì da leoni» e di «Conan il barbaro». L'altro era Clint Eastwood, un individualista libertario, anzi, per dirla con Dante Matelli, un «nipote di Céline» e un «anarchico di Destra», a suo perfetto agio nel personaggio di quel Callaghan, «macho» e picchiatore, che si fa giustizia da sé in un mondo in cui la giustizia dei tribunali butta fuori di galera i delinquenti perché mancano le prove. Ma il «tignoso» Callaghan le prove ce l'aveva e le faceva valere quasi da «fuorilegge», mandando in bestia i «democratici». A partire da Pauline Kael che, dalle colonne del progressista «New Yorker», gridava: «dagli al fascista!». Ora la sinistra si è pentita. E, quasi quasi, si dà da fare per annetterselo il cow-boy dagli occhi di ghiaccio. Forse ci sbagliavamo, hanno infatti cominciato a dire da qualche tempo radical-chic e post-comunisti. In realtà, non ci hanno capito un accidente prima - quando schifavano il cowboy e il repubblicano - e non ci capiscono niente ora che sono alle prese con uno che è arduo etichettare. E come si fa con un patriota che non è né un sanguinario né un guerrafondaio, ma un «miles pacificus», capace di raccontare la guerra dalle due parti in lotta con la stessa ammirata «pietas», come è avvenuto con «Lettere da Iwo Jima» e «Flags of Our Fathers»? Schemi, schemi e ancora schemi, senza alcuna volontà di comprensione, ma con la solita voluttà di mistificazione. Ci vuol tanto a capire che il pistolero di «Per un pugno di dollari» è tutt'altro che «lontano» da Walt Kowalski, lo spigoloso pensionato di «Gran Torino»? L'uno e l'altro non stanno al gioco, sparigliano le carte anche con sé stessi, non si lasciano condizionare, mandano al diavolo ogni ipotesi fatta sul loro conto, stupiscono con gli «effetti speciali» di un carattere che si misura e si plasma incontrandosi/scontrandosi con la realtà. Roba da uomini, insomma. O se volete da eroi: a dispetto di Bertold Brecht, il mondo ne ha più che mai bisogno.

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